All’inizio del racconto della moltiplicazione dei pani (Gv. 6, 1-15) l’evangelista Giovanni informa i lettori su dei luoghi e su un tempo determinati: due rive del mare di Galilea (lago di Tiberiade), un monte alle cui pendici Gesù si mette a sedere, e la vicinanza della Pasqua “dei Giudei”. Queste note rimandano a un’altra Pasqua, a un altro attraversamento del mare, a un altro monte e maestro. Con pochi tratti Giovanni evoca l’esodo, il Sinai, e Colui che al Sinai rivela se stesso concentrando tutti questi elementi sulla figura di Gesù. Con lui sono i suoi discepoli, a lui accorre la folla, presumibilmente facendo la strada a piedi, “perché vedeva i segni che compiva sugli infermi” (v. 2). Di nuovo, Gesù non viene presentato come maestro ma come taumaturgo, capace di ristabilire nella vita e nella salute coloro a cui fa grazia.
L’insufficienza delle risorse umane
L’evangelista non parla di ciò che Gesù dice e compie sul monte, si concentra piuttosto sulla domanda di Gesù a Filippo: “Dove potremo comprare il pane perché costoro abbiano da mangiare?” (v. 5), quasi che il problema del mangiare sia la prima cosa da risolvere. Seguono le due risposte, prima di Filippo e poi di Andrea: “Duecento denari di pane non sono sufficienti neppure perché ognuno possa riceverne un pezzo” (v. 7); “C’è qui un ragazzo che ha cinque pani d’orzo e due pesci; ma che cos’è questo per tanta gente?” (v. 9). Entrambe le risposte mostrano una ricerca di soluzioni, e la constatazione dell’insufficienza delle risorse a disposizione. I due discepoli però rimangono aperti ad altre possibili soluzioni, sono come in attesa delle decisioni del Maestro. Di contro, Gesù sa bene quanto sta per operare. I cinque pani e i due pesci portati dal ragazzo forse sono un dono o forse sono le provviste per un gruppo di persone, messe a disposizione.
Mentre narra, ritardando sapientemente il momento decisivo, Giovanni dà le imponenti dimensioni del fenomeno (“erano circa cinquemila uomini” v.10), suscitando apprensione anche nel lettore. Poi rallenta il tempo del racconto descrivendo nei particolari le azioni di Gesù, con il paradossale effetto di diluire e quasi far scomparire il miracolo tra le mani di chi lo compie: è Gesù a distribuire i pani e i pesci a ciascuno, “li diede a quelli che erano seduti, e lo stesso fece dei pesci, quanto ne volevano” (v. 11), quasi ci fossero solo poche persone radunate e i cinque pani bastassero.
I discepoli entrano in scena solo quando tutti sono a posto, per raccogliere i pezzi avanzati: “raccogliete i pezzi avanzati, perché nulla vada perduto” (v. 12). Si tratta di custodire, per poter mangiare ancora, per prolungare l’evento.
Il “segno” rivelatore del divino
A questo punto Giovanni si premura di dare il “suo” nome a quanto è accaduto, come in precedenza aveva parlato della sovrana conoscenza di Cristo (“Egli infatti sapeva quello che stava per compiere” v. 6). E’ un “segno”, piuttosto che un prodigio o un miracolo: “visto il segno che aveva compiuto” (v. 14). Un gesto, un evento materiale, visibile e percepibile (come il sapore del pane e del pesce) che “insegna”, mostra, fa conoscere qualcosa del mistero di chi lo compie.
Apparentemente la folla ha capito che il fatto straordinario rimanda oltre ciò che è semplicemente umano: per questo comincia a dire che Gesù è il profeta: “Questi è davvero il profeta, colui che viene nel mondo” (v. 14). Ma l’elevazione verso la figura divina del Messia dura poco, e cede il passo a una conclusione forse più prosastica, ma decisamente più pratica: uno che dà da mangiare al popolo senza fatica merita decisamente il trono regale: “Ma Gesù, sapendo che venivano a prenderlo per farlo re, si ritirò di nuovo sul monte, lui solo” (v. 15). Cristo comunque preferisce sedere alla destra del Padre, così sale ancora più in alto, nella sua solitudine unica. E’ curioso che Giovanni dica “di nuovo”: questa ultima piccola notazione chiarisce che la folla, più che seguire, “inseguiva” Cristo cercando di ricevere da lui quanta più vita possibile.
La narrazione della moltiplicazione dei pani mette in evidenza l’assoluto protagonismo di Gesù: per la gran parte del racconto è lui il soggetto dei verbi e mette in moto l’azione. Gesù si muove con autorità propria; solo nel suo rendimento di grazie si intravede il riferimento al Padre. Per il resto questo rimane velato. Un piccolo particolare comunque apre uno spiraglio: Gesù, che già era seduto, ordina ai discepoli di far sedere la folla. Erano in piedi, lo ascoltavano, come si ascolta un maestro, o come ci si affolla per ricevere dei doni. Facendoli sedere Gesù velatamente li invita a condividere una dimensione di sé ancora più profonda, il suo banchetto, sul monte, il banchetto per tutti i popoli.
Il Signore Gesù con i cinque pani d’orzo e i due pesci dà da mangiare a cinquemila uomini con l’abbondanza da far raccogliere dodici canestri con i pezzi avanzati. La condivisione è solidarietà e con l’intervento del Signore quel poco che si è donato risulta sufficiente, anzi abbondante per tutti coloro che ne hanno bisogno. La capacità di condividere è una dimensione ancora presente nella realtà cristiana anche se avrebbe bisogno di essere allargata. Troppe sono le spinte nella realtà contemporanea a chiudersi in noi stessi, nella nostra famiglia o nella dimensione del nostro piccolo gruppo. Solo una condivisione dei beni della terra potrà produrre uno sviluppo che coinvolga anche le fasce più indigenti dell’umanità.
Bibliografia consultata: Tosolini, 2018, Brunello, 2018.
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