Religione

Religione, una fede aperta al Dio della vita

Due donne salvate

Il vangelo odierno (Mc. 5, 21-43) è costruito come un “sandwich”, perché l’evangelista Marco narra due episodi intrecciati in tre momenti: richiesta di Giairo, padre della ragazza malata, di andare a casa a salvare sua figlia morente; guarigione della donna con perdite di sangue durante il cammino, mentre Gesù e chi lo seguiva vanno dalla fanciulla; azione di risurrezione all’interno dell’abitazione. L’arrivo di Gesù nella casa di Giairo avviene dopo la guarigione della donna, creando una “suspense” narrativa tra la realizzazione dei due miracoli.

Prima scena: guarigione dell’emoroissa

Tornato dal paese dei geraseni, Gesù giunge sulla riva giudaica del lago di Tiberiade e attorno a lui si raduna una folla numerosa. E’ ancora sulla riva quando dalla folla si stacca un uomo che è presentato con la sua professione e il suo nome: un capo della sinagoga, di nome Giairo. Egli, prostrato ai piedi di Gesù lo supplicava con insistenza: “La mia figlioletta sta morendo: vieni a imporle le mani, perché sia salvata e viva” (v. 23). L’espressione “figlioletta” è semitica e il diminutivo dimostra l’affetto del padre che prega Gesù di andare a imporre le mani sulla moribonda e trasmettere così la sua forza salvifica.

Durante il corteo, arriva una donna malata, presentata come sofferente di emorragie da dodici anni. La durata della malattia ne indica la gravità sul piano personale e socio-religioso: essa poneva una donna giudea in uno stato di costante impurità, impedendole di entrare nel santuario, di partecipare alle funzioni e feste religiose (come la Pasqua), perché il contatto con lei rendeva impuri gli altri. La condizione della donna malata è precisata con una serie di verbi: patire, spendere, senza avere giovamento, anzi “peggiorando” (v. 26).

Saputo della presenza di Gesù, arriva tra la folla e agisce in maniera insolita rispetto ad altri ammalati: tocca la veste di Gesù, perché crede che questo contatto basti a guarirla: “Se riuscirò anche solo a toccare le sue vesti, sarò salvata” (v. 28). L’immediata guarigione è constatata dall’evangelista e percepita fisicamente dalla donna: “Subito le si fermò il flusso di sangue e sentì nel suo corpo che era guarita dal male” (v. 29). Il fatto che anche Gesù si renda conto della forza che era uscita da lui e si volti verso la folla, conferma che tale forza è arrivata alla donna tramite le vesti: “Chi mi ha toccato?”, dice Gesù ai suoi discepoli. I discepoli non hanno compreso la domanda di Gesù circa un modo speciale di toccare: non in continuazione come la folla, ma una sola volta, con intenzioni speciali.

Gesù non replica ai discepoli, continua a guardarsi attorno, per vedere colei che aveva fatto ciò. La drammaticità della scena raggiunge il culmine con il presentarsi e prostrarsi della guarita: “La donna…venne, gli si gettò davanti e gli disse tutta la verità” (v. 33). Gesù calma l’ansia della donna rivolgendosi a lei con amabilità. Provoca, riconosce e conferma la sua fede, chiamandola “figlia” e approvandone l’agire, con parole profonde che realizzano una profonda comunione fra i due: “Figlia, la tua fede ti ha salvata. Và in pace e sii guarita dal tuo male” (v. 34).

Il verbo al perfetto, “ti ha salvato”, indica il perdurare verso l’avvenire dell’effetto di un’azione posta nel passato. La fede della donna è stata e rimane il fondamento su cui Gesù ha potuto poggiare la sua azione, la disposizione senza la quale egli non avrebbe potuto operare il miracolo. Si potrebbe parafrasare l’affermazione di Gesù: “La tua fede ha reso possibile salvarti”. Nei vangeli sinottici, la fede dei risanati è legata a Gesù, alla sua qualità di rivelatore della potenza divina.

Seconda scena: la risurrezione della ragazza

Gesù stava ancora parlando quando apprende la notizia che la figlioletta di Giairo è morta. La comunicazione della morte della figlia da parte dei messaggeri è collegata a un motivo di scetticismo, ma Gesù rassicura il padre: “Abbi fede!” (v. 36). Gesù lo invita alla calma, quella che sgorga dalla fede in lui e che non deve interrompersi. Giairo deve continuare a credere, fondandosi soltanto sulla parola di Gesù. Torna così la fede, collegata al motivo della difficoltà, come superamento di limiti e apertura all’azione trascendente di Dio nel Figlio, perché la fede come la intende Gesù trascende ciò che è possibile all’uomo.

Arrivati alla casa, Gesù trova la gente disperata e in pianto e disse loro: “Perché vi agitate e piangete? La bambina non è morta, ma dorme” (v. 39). Il verbo “dormire” attenua l’orrore della morte e apre alla speranza della risurrezione, facendo entrare in relazione un concetto correlativo: la morte è provvisoria, un sonno in attesa della risurrezione. La folla lo deride beffarda. E Gesù, “cacciati tutti fuori, prese con sé il padre e la madre della fanciulla e quelli che erano con lui ed entrò dov’era la bambina.

Prese la mano della fanciulla e le disse: Talità kum, Fanciulla alzati” (vv. 40-41). La risurrezione della ragazza avviene mediante il semplice gesto salvifico (prendere per mano) e la parola vivificante che agisce come Parola sovrana: “Subito la fanciulla si alzò e camminava; aveva infatti dodici anni. Essi furono presi da grande stupore” (v. 42). Il verbo “si alzò” indica il passare dalla posizione di morta a quella di viva: è il medesimo verbo della risurrezione di Gesù. La risurrezione della figlia di Giairo assume un carattere profetico: anticipa quella del Maestro; la fede in Gesù non conosce più la paura della morte e conduce alla vita piena, eterna.

Che cosa dobbiamo fare davanti alla morte? Chinare il capo, rassegnati? Riconoscere il suo potere e ammettere che sarà lei a pronunciare l’ultima parola sulla nostra esistenza e su quella dei nostri cari? Il Signore ci esorta a continuare ad avere fede. L’amore di Dio in Gesù ha il potere di sconfiggere la morte, basta aver fede in Gesù, come Giairo, il padre della bimba morta.

Il Capocordata.

Bibliografia consultata: Mazzeo, 2021; Laurita,2021.

Redazione

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