Il tempo finale come quello iniziale significa che gli eventi del futuro sono modellati su quelli del passato. Nel vangelo di oggi (Mt. 24, 37-44) ne abbiamo un ottimo esempio con il collegamento tra i giorni di Noè e quelli del ritorno ultimo del Figlio dell’uomo. La colpa di quella generazione non è individuata in mancanze gravi e precise, ma in un senso di trascuratezza che determina uno stile di vita superficiale. Mangiare, bere e procreare non sono certo azioni biasimevoli in sé, ma sono compiute senza alcuna percezione del senso della vita e della storia.
Abbiamo una testimonianza della rilassatezza nell’attesa del ritorno di Gesù in quello che potrebbe essere lo scritto più tardivo del Nuovo Testamento (la seconda lettera di Pietro) intorno all’anno 130 d.C. Qui vengono riportate le obiezioni impertinenti di alcuni che sembrano essersi stancati di aspettare: “Dov’è la sua venuta, che egli ha promesso? Dal giorno in cui i nostri padri chiusero gli occhi, tutto rimane come al principio della creazione”. Se mormorazioni di questo genere si sollevarono pochi decenni dopo l’ascensione di Gesù al cielo, tanto più sono a rischio di rassegnazione i cristiani di millenni successivi.
Il ricorso a degli esempi serve a evidenziare, tramite l’analogia, la necessità dell’accortezza.
Gesù non sta dicendo che la sua venuta avverrà “come” il diluvio ai tempi di Noè, ma stabilisce un punto di comparazione tra la venuta improvvisa del diluvio e quella della fine del mondo. E come la famiglia di Noè è scampata trovando rifugio nell’arca, così troveranno salvezza i discepoli che sono stati previdenti. Lo stesso ragionamento è alla base della parabola: né il padrone sveglio si farà derubare dal ladro notturno, né il fedele che vigila verrà sorpreso in difetto alla venuta del Signore.
Potrebbe meravigliare la comparazione della venuta salvifica del Signore con la sgradita intrusione in casa di un rapinatore. I furti negli appartamenti sono fonte di angoscia anche oggi, in un contesto in cui l’illuminazione elettrica e i congegni antifurto rendono più difficili le intrusioni; tanto più lo erano nel mondo antico quando il buio totale imponeva una sorveglianza continua. Era persino diventato un luogo comune parlare della notte come tempo propizio ai malfattori, per uccidere il misero e il povero. Anche qui l’analogia funziona solo su un aspetto della vicenda, cioè la trepidazione e l’ansia con cui si attende un evento, ma non sui dettagli secondari. Infatti non è detto che i ladri vegano a rubare proprio in quella casa e la veglia potrebbe protrarsi a lungo senza che l’evento temuto si profili all’orizzonte.
Ma il paradosso più evidente è che uno scassinatore viene per portare via i beni del proprietario della dimora, mentre la venuta del Signore rappresenta l’esatto contrario, la concessione del vero bene che si desidera. Si direbbe che a Gesù piace “sorprendere” i suoi interlocutori presentando l’azione divina sotto il manto di immagini e personaggi “sgradevoli”, per trasmettere in modo più efficace il suo messaggio di salvezza e di felicità.
Corriamo un po’ tutti questo rischio, Gesù: lasciare che il tempo scorra, un giorno dopo l’altro, con il suo carico di fatica, di tensioni, di tante cose belle e brutte che si susseguono, una dopo l’altra, senza pause. E noi siamo come quei viaggiatori che macinano chilometri, ma non si accorgono neppure del paese che attraversano, della gente che incrociano, preoccupati solamente di fare strada, per arrivare a sera e poi partire di nuovo.
Abbi pietà, Gesù, della nostra mancanza di saggezza, ebbri come siamo del vortice della vita. Non permettere che ci lasciamo sempre sorprendere dagli avvenimenti, impreparati e indisposti, tesi e nervosi, incapaci di discernere l’essenziale e di dare un senso e una meta al nostro percorso quotidiano. Donaci, Gesù, il gusto di vegliare e riflettere, di sostare e di porci domande, di aprire cuore e mente alla tua parola, alla tua presenza. Allora non ci lasceremo prendere alla sprovvista perché avremo decifrato le tue orme e sapremo imboccare la strada giusta.
Prenderemo a cuore, innanzitutto, la nostra relazione con Dio: è questo il nostro filo tenace che ci impedisce di perderci, di smarrirci e di venire meno, nei diversi frangenti della nostra storia individuale e collettiva. Apriremo il cuore a quella Parola che, sola, può tracciare il cammino della vita, svelandoci il progetto di Dio. Vivremo in una solidarietà operosa per costruire un mondo più giusto, all’insegna della condivisione e della fraternità.
Bibliografia consultata: Carrega, 2019; Laurita, 2019.
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