Domenica 27 Novembre 2016 è la Prima di Avvento del nuovo anno liturgico che si contraddistingue come “Anno A” e con la lettura del Vangelo di Matteo. Il brano (Mt. 24, 37-44) che ascolteremo viene tratto dall’ultimo dei grandi discorsi con cui l’evangelista ha strutturato il suo racconto evangelico: il discorso escatologico (sulla fine della storia). In esso vi scopriamo la preoccupazione costante della catechesi cristiana: nell’attesa della venuta di Gesù, il cristiano deve avere un atteggiamento vigilante e rimanere fedele alla missione affidatagli.
“Come ai giorni di Noè” (vv. 37-41). Se la venuta del Figlio dell’uomo dovrà essere chiara e manifesta a tutti, essa allora sarà tanto improvvisa quanto inattesa. L’accostamento con l’episodio del diluvio ai giorni di Noè sottolinea il pericolo di questa situazione. Per parlare di questa venuta Matteo usa il termine “parusia”. Etimologicamente, la parola significa semplicemente “venuta”, “presenza”. Nel cristianesimo primitivo, il termine è stato assai presto usato per indicare il trionfale ritorno di Cristo alla fine dei tempi. In quel giorno, sarà necessario essere trovati irreprensibili, poiché, come conferma chiaramente il testo, l’idea del giudizio è stata presto associata a quella della “parusia”.
La venuta finale del Figlio dell’uomo è come un nuovo diluvio. La fine sarà una catastrofe improvvisa contro la quale non si potrà nulla. I contemporanei di Noè non si avvidero di nulla, continuavano la solita vita, mangiando, bevendo, sposandosi. Orbene, una tale ignoranza è pericolosa: essi sono morti per non avere saputo, per non aver scoperto il sia pur minimo segno. Lo stesso accadrà nell’ultimo giorno. La catastrofe è come sospesa sul mondo e potrebbe piombare su di esso da un momento all’altro. E quando ciò avverrà, sarà troppo tardi per prendere una qualsiasi iniziativa. E’ adesso il tempo in cui occorre aprire gli occhi. Gesù, al suo primo annuncio pubblico, ha invitato alla conversione e a credere alla buona novella del Vangelo: questi sono gli ultimi ammonimenti di Dio al suo popolo; è questa l’ultima ora e bisogna decidersi.
Giudizio immediato (vv. 40-41). Gli uomini non avranno più né tempo né mezzi per prepararsi al giudizio. Proprio quando essi non riusciranno a notare alcuna differenza, avrà luogo la cernita: sarà allora che si distingueranno i due uomini che lavorano nel campo, le due donne che lavorano alla mola. Le medesime persone si trovano insieme al lavoro, svolgono la stessa attività, senza che nulla li distingua. In quel momento la linea di separazione passa tra due individui apparentemente identici. Solo allora si manifesta la tremenda differenza tra i due: l’uno è salvo, l’altro è perduto. Ad insaputa di tutti, l’uno era già nella luce, l’altro nella tenebra. Ed è ormai troppo tardi perché tale separazione possa essere rimessa in discussione, troppo tardi per prepararsi, per pentirsi, per un estremo intervento a favore. Trascorsi inutilmente gli ultimi momenti di attesa, la pazienza del padrone cesserà e la situazione sarà definitiva e immutabile.
Vigilate (vv. 42-44). Nell’imminenza della fine, improvvisa come il diluvio, il credente deve vegliare. I discepoli sono avvisati, si tratta quindi di essere pronti: “Vigilate!”. La vigilanza non è un generico atteggiamento dell’anima; è il contrario di un’attesa febbrile e disordinata. E’, invece, fedeltà alla missione ricevuta, preparazione al ritorno di Cristo, obbligo di assolvere fedelmente le proprie responsabilità, dovere di aiutare i più piccoli tra i fratelli di Cristo.
La parabola del ladro (v. 43). Questo tipo di visite notturne, assai frequenti in oriente, erano molto temute. Gesù, con molta probabilità, ha presente un caso recente di furto, che aveva particolarmente interessato la cronaca locale. Egli si richiama a questo episodio, per avvertire ancora una volta i suoi uditori dell’imminenza della crisi: state attenti a non essere colti di sorpresa, come è accaduto a questo individuo. Gesù vede l’imminenza della crisi finale, che di fatto ha avuto già inizio con la sua opera. Egli annuncia che il regno è già presente e che si manifesta nel suo operato. Sin da ora, accettando o rifiutando il Cristo, si viene giudicati: Gesù vuol fare uscire l’uomo dal suo torpore; il momento della venuta è prossimo, inatteso quanto il recente furto. State pronti! Dunque il fulcro della parabola consiste nel carattere inatteso dell’evento, non che il Figlio dell’uomo sia “come un ladro di notte”. Succede qualcosa di imprevisto: bisogna quindi attendere, anche se il momento rimane sconosciuto. Inoltre, per i cristiani, il giorno del Figlio dell’uomo, è un giorno di letizia, di liberazione, non una catastrofe.
L’affermazione di Gesù, secondo la quale non ci è possibile conoscere né il giorno né l’ora, ci ha preservato da calcoli ipotetici sulla data della sua venuta. Rimane la speranza del suo ritorno, non però come attesa febbrile, ma come certezza che colui che è venuto e che viene a vivere in mezzo ai suoi darà il giusto significato alla nostra vita umana e al nostro universo, affinché Dio sia tutto in tutti. Liberato dal problema del “come” e del “quando”, il cristiano sarà unicamente sollecito di vivere come se questo giorno fosse già arrivato. Le parole di Gesù sono un invito a preoccuparci dei nostri doveri quotidiani. La vigilanza è dovere tanto più perentorio, quanto più l’ora della fine è per noi sconosciuta. L’invito alla vigilanza risuoni nel cuore di ogni discepolo/a che si prepara al grande incontro con il Signore e sentirsi dire in quel giorno: “prendi parte alla gioia del tuo Signore!”.
Bibliografia consultata: Geoltrain, 1969.
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