Il testo del vangelo di Matteo (22, 1-14) riprende l’ultima parabola che Gesù indirizza ai capi religiosi d’Israele. Essa descrive la preparazione di un banchetto nuziale e in particolar modo l’invio degli inviti alle persone scelte. Il brano proclamato è diviso in due parti: i versetti da 1 a 10 si concentrano sugli invitati, su coloro, cioè, che rifiutano per diversi motivi e su coloro che vengono chiamati lungo la strada per sostituire i primi. La seconda parte, i versetti da 11 a 14, riguarda un solo uomo sorpreso a essere presente alle nozze senza l’abito nuziale.
L’interpretazione del testo è sorretta dalle stesse indicazioni di Gesù: il re che prepara questo banchetto è Dio stesso e il figlio per il quale viene preparata la festa è lo stesso Gesù. Il banchetto nuziale richiama i tempi della venuta del Messia, il tempo del compimento della misericordia e della storia della salvezza. Vengono poi presentati i servi del re, che sono inviati a radunare gli invitati per le nozze: essi rappresentano i messaggeri di Dio, tra cui i profeti, le grandi figure della storia della salvezza, che preparano la venuta del Messia. L’uccisione dei servi richiama i diversi “martiri” dell’Antico (Primo) Testamento. L’ultimo invio dei messaggeri, mandati a invitare coloro che trovano lungo la strada, ossia ciechi, zoppi e storpi, richiama la missione della Chiesa in cui soprattutto gli ultimi del mondo sono chiamati alle nozze del Signore.
La parabola è indirizzata all’uomo di ogni tempo e pertanto è bene ricordare come il rifiuto dell’invito alla festa è un rischio di tutti, anche all’interno della stessa vita ecclesiale: il testo di Matteo è infatti consegnato prima di tutto alla comunità cristiana e in questa luce va intesa soprattutto la seconda parte della parabola nella quale si fa riferimento a chi è entrato alla festa preparata dal re, ma non è stato trovato con la vesta nuziale. Unendo le due parti del racconto comprendiamo come la conclusione, “perché molti sono chiamati, ma pochi eletti” (v. 14), sia rivolta tanto a coloro che, invitati, hanno rifiutato la chiamata, quanto a chi, entrando alla festa, non è stato trovato degno.
Al banchetto nuziale si partecipa per elezione e per chiamata
Entrambe le situazioni simbolizzate nel racconto sono congiunte da una stessa idea di elezione o di chiamata. Essa è prima di tutto un dono di Dio che chiede responsabilità nel corrispondere alla relazione con il Signore. Questa consapevolezza riguarda la libera scelta di accettare o rifiutare il dono di Dio, di entrare alla festa nuziale o rimanerne fuori: non è automatica la partecipazione al banchetto, è necessario avere l’abito adeguato e decidere di indossarlo. La chiamata di coloro che si trovano lungo i crocicchi delle strade fa comprendere come il messaggio del vangelo sia esteso a tutti gli uomini, perché la misericordia di Dio è per tutti: la salvezza donata da Dio è per tutti e non solo per alcuni prescelti, per pochi predestinati, è per tutti coloro che con cuore sincero accolgono la sua chiamata e si convertono a lui.
“Perché molti sono chiamati, ma pochi eletti” (v. 14): i due termini, “molti chiamati” e “pochi eletti”, non sono in antitesi, non definiscono una opposizione. Il termine “molti” (la moltitudine, cioè, tutti) ritorna più volte nel vangelo di Matteo a indicare coloro che ricevono il dono dell’amore misericordioso in Cristo. L’espressione “pochi” è utilizzata nelle lingue semitiche per indicare coloro che si sono mantenuti fedeli alla sequela del Signore e al dono ricevuto.
La chiamata interpella la libertà dell’uomo
La parabola degli invitati a nozze, dunque, interroga tutti noi sulla corresponsabilità del dono ricevuto: infatti, non è automatico saper accogliere questo dono e la libertà dell’uomo può anche rifiutarlo, fino a porsi in contrasto con esso, come quegli invitati che, non solo hanno accampato le scuse più svariate, ma sono arrivati perfino a uccidere i servi inviati dal re. Ma, una volta accolto il dono di Dio, bisogna esserne degni, occorre saper conservare il vestito nuziale, perché non è sufficiente un’adesione esteriore, ma è necessario lasciarsi trasformare dall’amore del Signore, lasciarsi convertire dalla sua misericordia. E’ importante comprendere che entrambi i pericoli ci riguardano da vicino e ci interpellano a essere consapevoli del dono ricevuto e perseveranti nella sequela di Cristo: è paradossale sentirsi o definirsi “credenti non praticanti”, ma è ancora maggiore il rischio di vivere da presunti “praticanti non credenti”.
Non possiamo rifiutare l’invito del nostro Re a partecipare al banchetto di festa. Dobbiamo partecipare! Non possiamo non presentarci con una veste dignitosa: è la veste che ci fa riconoscere tutti uguali dinnanzi al nostro unico Dio e Padre! Non possiamo fermarci a essere invitati viziati e schizzinosi, ma dobbiamo metterci al servizio gli uni degli altri e, in uno slancio missionario, correre ai crocicchi delle strade per far partecipare sempre più gente all’unica festa alla quale vale veramente la pena partecipare: quella con Dio e in Dio, per l’eternità.
Bibliografia consultata: Corini, 2017; Tornambé, 2017.
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