Religione, venne Gesù e disse: “Pace a voi!”
di Il capocordata
“Venne Gesù e stette in mezzo a loro” (v. 19)
Nel quarto vangelo il Risorto non “appare”, ma “viene” e si pone in mezzo ai suoi, assumendo un posto centrale nella comunità (Gv. 20, 19-31): lì è possibile vederlo! Questa venuta è il compimento delle promesse fatte da Gesù nel suo discorso d’addio durante la cena. Questo suo venire di Gesù nella sua Pasqua è un anticipo della venuta finale del Figlio dell’uomo nell’ultimo giorno. Non a caso suscita una gioia ineffabile e dona la pace, due doni tipicamente messianici. L’espressione “in quel giorno” (v. 19) è, peraltro, una formula ricorrente nei libri profetici per designare il giorno del Signore. Ogni venuta del Signore e ogni sua manifestazione alla Chiesa sono dunque caparra della visione futura e anticipo dell’ottavo giorno senza tramonto.
“Mostrò loro le mani e il costato” (v. 20)
Il Risorto è capace di raggiungere la sua comunità anche quando è rinchiusa in se stessa e vinta dalla paura, quando il buio della sera intimorisce e spinge i discepoli a rinserrarsi sulla difensiva. Essi sono rinchiusi nel luogo ove si trovano per paura dei giudei. Ponendosi in mezzo a loro, Gesù ridona speranza e li riapre alla vita. Come? Mostrando le mani e il costato, cioè i segni di un amore che si è spinto fin dentro la morte per sconfiggere la morte dal di dentro.
Intuendo il senso profondo del sacrificio pasquale di Gesù come dono supremo d’amore per loro, i discepoli si aprono alla gioia e accolgono il dono della pace. Dinanzi ai segni dell’amore di Gesù i discepoli si riconciliano con lo scandalo della croce; superando la loro paura e il loro isolamento, sono pronti per la missione. Per questo il Risorto li manda nel mondo come lui è stato mandato dal Padre. Uscito dal seno del Padre, chiede anche ai suoi discepoli di uscire da sé, dai propri schemi, dalle proprie sicurezze, dalla propria volontà autoreferenziale.
“Ricevete lo Spirito Santo” (v. 22)
La Pasqua è nuova creazione: il Risorto “alita” sui discepoli come Dio “alita” la sua vita nell’uomo, plasmato dalla polvere della terra. Egli è fatto di due componenti: è una realtà creata, poiché viene dalla terra, ma in lui sussiste qualcosa di increato che viene da Dio, il suo soffio che lo rende un essere vivente, partecipe della vita stessa di Dio. Con il suo soffio il Risorto riconsegna all’uomo la sua vita più intima, e ristabilisce con lui la relazione infranta dal peccato. Assieme alla gioia e alla pace, lo Spirito è dunque il dono messianico per eccellenza, compimento delle attese contenute nelle Scritture e attestazione della nuova alleanza. E’ comunicato ai discepoli per una missione che si sostanzia anzitutto nella remissione dei peccati, cioè nella rimozione di tutto ciò che preclude la relazione con Dio.
Il perdono è l’esperienza più alta e paradigmatica del dono di Dio, è sua parola originaria e sua esclusiva; esso abilita l’uomo a una vita cristiana adulta: l’incontro con la misericordia divina. L’offerta divina del perdono si pone prima di qualsiasi peccato e fonda per l’uomo la possibilità che a decidere del futuro non sia anzitutto il passato, poiché la misericordia di Dio lo trasforma in storia della salvezza.
“Tommaso non era con loro” (v. 24)
Durante l’apparizione ai discepoli la sera del giorno di Pasqua, Tommaso non era con loro; i discepoli gli recano la lieta notizia ma egli non riesce a credere. Otto giorni dopo anche Tommaso è nel luogo giusto e al momento giusto. Gesù si fa carico della sua incredulità, concedendogli una nuova opportunità di visione: egli torna allo stesso modo, mostrando le mani forate dai chiodi e il fianco trafitto dalla lancia. Ancora una volta si ribadisce che solo confrontandosi e vedendo la gloria del Trafitto innalzato da terra si può giungere a credere. Anche noi abbiamo bisogno dei fratelli nella comunità per continuare a vederlo: i loro gesti di donazione, quando sono autentici, lasciano trasparire le mani e il costato del Risorto.
“Mio Signore e mio Dio” (v. 28)
Prima di vedere il Risorto, Tommaso avanza precise condizioni per poter credere. Otto giorni dopo il Risorto soddisfa le condizioni avanzate da Tommaso: non facendogli delle concessioni ma intimandogli dei comandi: “metti il dito, guarda le mie mani, stendi la tua mano e mettila nel mio costato, non essere incredulo ma credente” (v. 27). E’ così che il discepolo incredulo arriva a vedere e a credere ma in obbedienza alla parola di Gesù. Vedendo le mani e il fianco di Gesù risorto, anche Tommaso arriva a credere e pronuncia la più alta professione di fede di tutto il vangelo: “Mio Signore e mio Dio”
“Beati quelli che non hanno visto e hanno creduto” (v. 29)
Questa modalità di approcciarsi alla fede è destinata a finire. Con questa beatitudine il Risorto apre a una nuova modalità di credere che segnerà la fede delle generazioni future; esse apprenderanno della risurrezione dalla comunità e passando attraverso l’accoglienza della testimonianza apostolica. Si tratta di credere senza poter vedere fisicamente il corpo risuscitato di Gesù. In Mezzo alla comunità e nel dono della Scrittura, possiamo reperire segni sufficientemente credibili della presenza del Risorto. Davvero si può credere in lui senza vederlo in carne e ossa e avere la vita nel suo nome, credendo che egli è il Cristo, il Figlio di Dio.
Bibliografia consultata: Rossi, 2019.