Religione, “Venuto a cercare e a salvare chi era perduto”
di Il capocordata
Il racconto di Zaccheo (Lc. 19, 1-10) costituisce uno dei passi più significativi del Vangelo di Luca, una storia nella quale si scontrano o si presentano numerosi temi lucani: l’”oggi” della salvezza, l’identità e la missione di Gesù come colui che “è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto” (v. 10). Anche la collocazione del racconto è estremamente significativa: siamo ormai al termine del cammino di Gesù verso Gerusalemme e anche la fine del suo ministero pubblico, che così viene “incorniciato” da due episodi molto simili: all’inizio del ministero Gesù siede a tavola con il pubblicano Levi (5, 27-32), alla fine con il “capo dei pubblicani” Zaccheo.
“Gesù entrò nella città di Gèrico e la stava attraversando” (v. 1)
Gèrico non è ancora la meta ultima, ma essa è appena a un giorno di cammino da Gerusalemme. Subito Luca introduce sulla scena Zaccheo, “capo dei pubblicani”, quindi dirigente del tanto odiato partito degli esattori. Sappiamo che la riscossione delle imposte era stata concessa dai romani a dei privati locali, i quali, dovendo tra l’altro ripagarsi della forte somma versata per conquistare quel posto, gonfiavano le tasse per trarne guadagno. Possiamo dunque immaginare l’odio della popolazione nei confronti di questi uomini, identificati come “peccatori” e traditori del popolo a cui del resto appartenevano.
“Zaccheo cercava di vedere chi era Gesù” (v. 3).
Il verbo “cercava” esprime l’idea di un desiderio forte, che sembra indicare che ci troviamo dinanzi a qualcosa di più della semplice curiosità. Nel vangelo di Luca, il termine indica spesso la ricerca della verità, del senso della vita e, in ultima analisi, della salvezza. Il desiderio di Zaccheo è sincero, conformemente al significato del suo nome, che in ebraico significa “colui che è puro”. Per raggiungere il suo obiettivo, però, Zaccheo deve superare un ostacolo di non poco conto, considerata la sua piccola statura, ovvero la folla numerosa che si stringe attorno a Gesù. Per ovviare all’inconveniente della folla, il capo dei pubblicani corse e salì su un sicomoro (v. 4), i cui rami bassi certamente dovettero agevolare l’impresa. Tale comportamento, senza dubbio audace per un uomo del suo rango, evidenzia inequivocabilmente la bontà del suo desiderio e, in maniera velata, tradisce la speranza dell’incontro con il Maestro di Nazareth.
E’ proprio a questo punto che accade il colpo di scena (v. 5)
Se finora il narratore ha descritto gli sforzi di Zaccheo per vedere Gesù, è quest’ultimo a vedere Zaccheo, tra l’altro con uno sguardo che, dirigendosi dal basso verso l’alto, non esprime certo l’impressione di un giudizio. Le parole che Gesù rivolge a Zaccheo meritano un’attenzione speciale: “Zaccheo, scendi subito, perché oggi devo fermarmi a casa tua” (v. 5). Anzitutto Gesù chiama Zaccheo per nome. Inutile chiedersi come egli facesse a conoscerlo: l’evangelista intende mostrare come Gesù stabilisca fin da subito un rapporto diretto con Zaccheo.
Tale relazione presuppone non solo una conoscenza, ma, a motivo dell’urgenza (“scendi subito”) e dell’impiego del verbo “devo”, esprime la realizzazione del progetto di Dio: Zaccheo voleva andare verso Gesù per vedere “chi egli era” (v. 3); ed ecco che viene a sapere che in realtà era Gesù che veniva a lui per cercarlo. Va infine rilevato il desiderio di Gesù di “fermarsi” a casa del pubblicano: esso esprime l’intenzione di instaurare una relazione di comunione tutt’altro che superficiale.
Tale costatazione suscita l’impressione che l’episodio di Zaccheo riproponga il clima caratteristico degli inizi: un incontro che è una scena “tipo” del tempo messianico. Certamente emerge da questa pagina un’immagine di Dio molto originale: quella di un mendicante che chiede ospitalità, e per di più a un peccatore. Dio non cessa di presentarsi come un mendicante che bussa alla porta, per costruire la comunione distrutta dal peccato.
La scena dell’accoglienza riservata da Zaccheo a Gesù (v. 7).
Essa fa da contrasto con la reazione dei presenti, i quali unanimemente mormorano non tanto contro Zaccheo, che ai loro occhi è e rimane un peccatore, ma piuttosto contro Gesù, che entra nella casa di un tale uomo per fare comunione con lui. “Ecco, Signore, io do la metà di ciò che possiedo ai poveri e, se ho rubato a qualcuno, restituisco quattro volte tanto” (v. 8). Il gesto del pubblicano e ricco è un segno di autentica conversione e condizione permanente per la vita di comunione ecclesiale. Esso traduce nello stesso tempo l’esigenza del dare (dono la metà dei beni ai poveri) e la sincerità del pentimento (riparare nei confronti di ciò che è stato danneggiato).
“Oggi per questa casa è venuta la salvezza, perché anch’egli è figlio di Abramo. Il Figlio dell’uomo infatti è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto” (vv. 9-10). Gesù si rivolge ai presenti che avevano mormorato contro di lui. Anche l’”oggi” di Zaccheo si inserisce nelle grandi tappe della storia della salvezza. Salvezza non è solo l’esito di un percorso di conversione, ma prima di tutto è una persona: è il Signore a entrare nella casa di Zaccheo. La salvezza ormai dipende dall’incontro con la sua persona e dall’accoglienza che gli viene riservata.
E la missione del Figlio dell’uomo corrisponde a quella di Dio, che accoglie e perdona i peccatori, come il Signore, pastore fedele, va in cerca delle pecore perdute della casa di Israele, per ricondurle all’ovile e restituisce loro la salvezza che da sole non potevano certo darsi. “Io non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori perché si convertano” (5, 32); “Rallegratevi con me, perché ho trovato la mia pecora, quella che si era perduta” (15, 7); “Bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato” (15, 32).
Bibliografia consultata: Gennari, 2019.
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