Religione, “Voi stessi date loro da mangiare”
di Il capocordata
Il brano odierno (Lc. 9, 11-17) descrive Gesù mentre annuncia il regno e si prende cura dei più bisognosi, moltiplicando cinque pani e due pesci per la folla che lo segue. L’evangelista presenta Gesù come il “salvatore” che aiuta, che in ogni tempo, soprattutto nel pasto eucaristico, è presente ai suoi, perdonando e nutrendo.
“Il giorno cominciava a declinare…e il luogo era deserto” (v. 12)
L’ambientazione nel deserto sembra un richiamo all’antico esodo: con la moltiplicazione dei pani Gesù rinnova simbolicamente il dono della manna, atteso per i tempi messianici. La memoria del miracolo della manna nel deserto era rimasta viva nella religiosità di Israele, il quale sperava in un intervento definitivo di Dio in favore del suo popolo. La moltiplicazione dei pani da parte del Maestro viene a compiere il disegno salvifico di Dio.
“Voi stessi date loro da mangiare” (v. 13)
I Dodici, appena rientrati dall’esperienza entusiasmante della missione, devono confrontarsi immediatamente con una difficoltà di non poco conto che potrebbe esporli a un vergognoso fallimento. Essi dunque prendono l’iniziativa, suggerendo a Gesù di licenziare la folla perché troppo numerosa. Gesù insiste affinché diano loro stessi da mangiare. I Dodici dicono a Gesù di possedere soltanto cinque pani e due pesci.
Dinanzi alla situazione di impasse segnalata dai discepoli, Gesù assume il controllo della situazione e ordina di suddividere gli uomini in gruppi di cinquanta. L’evangelista presenta Gesù con i tratti del Risorto presente in mezzo alla sua Chiesa, soprattutto nella celebrazione eucaristica, all’interno della quale i discepoli svolgono il loro ministero. I discepoli obbediscono senza discutere all’ordine impartito dal Maestro, ordine che sembra far scomparire in un istante ogni dubbio e perplessità. Anche in questo caso Luca sembra sottolineare il potere della parola di Gesù, che è in grado di infondere fiducia e fugare qualsiasi timore dal cuore degli uomini.
Il miracolo, prefigurazione della liturgia eucaristica
“Egli prese i cinque pani e i due pesci, alzò gli occhi al cielo, recitò su di essi la benedizione, li spezzò e li dava ai discepoli perché li distribuissero alla folla” (v. 16). Con questo versetto il racconto raggiunge il vertice narrativo e teologico. Si noti che solo Gesù è descritto come soggetto dell’azione, sebbene precedentemente abbia voluto coinvolgere i discepoli. I gesti che il Signore compie richiamano da un lato la tradizione giudaica di ringraziare e benedire Dio all’inizio del pasto, dall’altro evocano implicitamente il gesto eucaristico della frazione del pane.
Dall’insieme della narrazione risulta abbastanza evidente che Gesù viene descritto da Luca come il Salvatore che non esita a utilizzare il suo potere per gli altri, anziché impiegarlo per affermare se stesso come vorrebbe la logica diabolica con la quale il Figlio di Dio dovette costantemente confrontarsi, dagli inizi della missione nel deserto, fino alla morte in croce.
La festa del Corpus Domini ha creato attorno a sé un ambiente rigoglioso di tradizioni e ritualità, la cosiddetta “pietà popolare”, che merita rispetto e attenzione, sia pure critica. A volte si ha l’impressione che i fedeli percepiscano la Comunione eucaristica come andare a ricevere “qualcosa”, un oggetto, sia pure sacro. Occorre che la pastorale spinga i fedeli a mantenere viva l’attenzione per far vivere la Comunione e la S. Messa come un appuntamento, un incontro, una relazione personale, con le sue intenzioni e i suoi significati. A chi si accosta a ricevere l’Ostia santa viene data la grazia di un incontro personale con il Signore risorto, che ha scelto la forma del pane spezzato condiviso per esprimere e far comprendere quali sono i suoi sentimenti, la natura della sua relazione attuale con noi.
Nella sua ultima cena, Gesù ha provato quell’angoscia di fronte alle sofferenze imminenti e alla morte violenta che apparirà così aggressiva nell’agonia del Getsemani. Per aiutare i dodici, e noi dopo di loro, a comprendere correttamente il senso della sua passione e morte, con un gesto inaspettato e sconvolgente, lui, il Signore e il Maestro, lava loro i piedi. Dall’interno del cuore di Gesù, quel gesto era un atto di amore così grande da non arrendersi neppure davanti alla sofferenza e alla morte. Egli vuole che l’ultima ora passata insieme con i dodici sia attorno a una mensa, per una cena dal significato pasquale.
Il Maestro vuole richiamare quei suoi straordinari pasti con i peccatori. Egli li considerava un segno particolarmente esplicito e completo di quel regno di Dio la cui venuta annunciava e inaugurava: peccatrici e peccatori riconciliati con Dio con un amore preveniente e totalmente gratuito, incondizionato, uomini e donne segnati da scelte di male e perciò tagliati fuori dalla comunità, riconciliati nell’amore che perdona e che condivide il cammino. Per questo vuole che questo pasto sia fatto “in sua memoria”: e cioè che diventi un “memoriale” che riattualizza presenze e relazioni.
Gesù afferma che il pane spezzato e condiviso è il suo “corpo”, che il vino condiviso è il suo “sangue”: la sua vita donata totalmente affinché la salvezza affidata da Dio a Gesù non sia arrestata dall’infedeltà degli uccisori, ma giunga integra agli uomini. E nessuno ha un amore più grande di chi dona la vita per coloro che ama. Egli ci invita a mangiare quel Pane e a bere quel Vino, mediante i quali Gesù ci dona la sua vita, ci offre la possibilità di avere la sua stessa vita dentro di noi, vita della nostra vita: comunione filiale con il Padre, amore generoso e gratuito verso il prossimo.
Bibliografia consultata: Gennari, 2019; Biscontin, 2019.