Restituiteci il Museo della civiltà romana all’Eur

Se digitate su Google “Museo della civiltà romana” vi appare il logo del Museo e poi, la scritta “chiuso momentaneamente”, dal 2014

Se digitate su Google Museo della civiltà romana” vi appare il logo del Museo e poi , tra parentesi, la scritta “chiuso momentaneamente“.
Se poi cercate sullo stesso motore di ricerca la definizione di “momento”, radice di “momentaneamente” trovate questa definizione: frazione di tempo associata all’idea della breve durata o della mera episodicità.
In tutto il mondo è così.
Ma non a Roma.
Perché a Roma il cosiddetto “momento” segue dinamiche proprie, varia moltissimo a seconda delle situazioni.
Può essere lungo pochi secondi, minuti, ore , giorni, mesi o addirittura anni.
In talune circostanze, non rarissime, arriva a essere “per sempre”.
È il caso del Museo della Civiltà Romana all’EUR, chiuso dal 2014 ovvero da dieci anni.

Dieci anni…

Dunque abbiamo un momento che, ad oggi, è lungo dieci anni.
Un momento che costringe all’oblio uno dei più importanti musei della città impedendone la fruibilità a cittadini e turisti.
Un’autentica vergogna.
Si parla di un’apertura nel 2025, milioni di euro stanziati per la ristrutturazione, ma sarà davvero così?
Mentre tutti speriamo con tutto il cuore che il “momento” del museo si chiuda all’undicesimo anno dal suo inizio, voglio parlare del suo gioiello: il plastico della Roma costantiniana del IV secolo D.C. custodito al suo interno.
Un’opera unica che vale la pena scoprire o riscoprire, un incredibile lavoro durato quarant’anni, frutto del genio di un uomo che pochi conoscono: una riproduzione in scala 1:250 della Città Eterna, poco più di 200 metri quadrati in gesso alabastrino (con armature in metallo e fibre vegetali) nei quali questo grandissimo artista ha compresso la città eterna.
Ebbi la fortuna di vederlo, da piccolo.
Mi ci portò più volte mio padre che, affascinato da questa meraviglia, desiderava condividere con noi figli il suo amore per la storia e la bellezza di Roma.
E se, da un lato, egli era un uomo di vecchio stampo dotato di un carattere forte, duro, difficilmente incline alla commozione e alla tenerezza, dall’altro era incredibilmente capace di trasmettere la sua smisurata passione per la conoscenza e lo faceva utilizzando quella delicatezza e quell’ amore che non riusciva ad esprimere con la sua famiglia nell’intimità delle mura domestiche.
Le sue spiegazioni erano estremamente interessanti, semplici da capire, non annoiavano mai e alimentavano la mia curiosità.

Pierino di Carlo e la sua opera

E allora mi rivedo con lui bambino, in quella stanza enorme del museo , in piedi sulla balaustra da cui si dominava il plastico della Roma antica, il mento appoggiato sui pugni uniti delle mani, il lieve tocco del suo palmo sulla mia spalla, a seguire il suo indice che indica questo o quel monumento e ad ascoltare la sua voce profonda che allora mi pareva la colonna sonora di un film che avrei voluto non finisse mai.
Questo film aveva un protagonista.
E la sua storia va raccontata.
Cercherò di usare la tecnica di mio padre: semplicità e passione.
Dunque, facciamo un piccolo salto nel tempo, diciamo un secolo.
Siamo a Roio del Sangro, in provincia di Chieti.
In questo piccolo paese che oggi conta un centinaio di anime, nasce Pierino Di Carlo, un bambino che mostra da subito una innata capacità a riprodurre miniature di ogni tipo tanto che a soli sedici anni approda allo studio di Luigi Bucci, attivo dal 1915 e specializzato in decorazioni in gesso per case private, in Piazza del Popolo a Roma.


Immaginiamo per un solo istante questo ragazzo dalle mani d’oro che di giorno lavora come apprendista e di notte studia composizione, disegno, rilievo plastico e scultura decorativa presso la scuola d’arte.
Deve essere una vita davvero dura e faticosa.
Ma come spesso accade, il sudore e la passione spalancano la strada verso orizzonti che neanche ti aspetti.
E così il nostro ragazzo-prodigio, a soli ventisette anni, apre il suo primo studio in via Giulia.
Siamo nel 1933, anno in cui lo Stato Italiano bandisce un concorso per una grande esposizione sulla Roma imperiale per celebrare il bimillenario della nascita dell’imperatore Augusto.
Rispondono al bando undici artigiani plasticisti romani tra i quali viene decretato il vincitore a pieni voti: Pierino Di Carlo.
Per quattro anni il buon Pierino lavora alla realizzazione del plastico di Roma antica in collaborazione con il famoso architetto, esperto di archeologia, Italo Gismondi che si occupa dei progetti e al quale generalmente si attribuisce la paternità di questo incredibile lavoro dimenticando totalmente colui dalle cui mani nacque tutto.
La mostra riscuote un tale successo che gli organizzatori pensano alla creazione di un museo permanente.

La Guerra blocca le sue opere

Pierino continua a lavorare al plastico per altri tre anni, ma lo scoppio della II Guerra Mondiale ferma tutto fino al 1946, anno in cui Pierino trasferisce lo studio in una stanza degli antichi Mercati Traianei.
Nel 1955, all’EUR, la sua opera viene aperta al pubblico, ma egli continua a lavorarci sopra, allargandola e aggiungendo particolari.
Quarant’anni dopo l’inizio del progetto il plastico assume la sua forma definitiva e nel 1982 Perino chiude il suo studio in Vicolo dell’Orso.
Deve averne abbastanza di plastici e similari, perché l’ex ragazzo di quel d’Abruzzo cambia totalmente obiettivo per dare spazio alla sua patologica passione per i funghi.
Ovviamente eccelle anche in questo campo tanto che a Roio viene osannato più come micologo che come fine artista.
Si spegne nel 1992, all’età di ottantasei anni, lasciandoci un’opera che in un plastico di 200 mq racchiude la meraviglia di una città che non ha eguali nel mondo.

Un amore che unisce generazioni

Allora ritorno a quel bambino che negli anni ’60-70 è affacciato alla ringhiera del Museo della Civiltà Romana e ascolta con occhi sgranati il racconto di suo padre e segue la sua fantasia immaginando di vedere combattimenti di gladiatori nel Colosseo, vestali in processione che portano il fuoco sacro, ascoltare arringhe di avvocati nel Foro, seguire il percorso di acque che scorrono negli acquedotti e tuffarsi in terme che pullulano di gente al bagno, ammirare legionari che affilano armi nel Castro e desiderare di essere uno di loro.


E mentre la città prende vita sotto di lui, il bambino cresce, diventa ragazzo e poi uomo.
E oggi scrive di quel momento che non doveva, non voleva finisse mai.
Un sottile filo indissolubile che lo legherà per sempre al plastico delle meraviglie e a suo padre.
Tutto grazie a Pierino Di Carlo.
Apriamo il Museo della Civiltà Romana, vi prego.
Fate che altri bambini si affaccino su Roma e sognino.
Saranno uomini migliori, domani.
Solo per questo ne varrebbe la pena.
Forza.