Anche i giovani avvocati italiani si mobilitano per salvare dalla forca Ahmadreza Djalali, il ricercatore iraniano che si trova a un passo dall’esecuzione. In una maratona oratoria sul canale Facebook dell’associazione [https://www.facebook.com/aiga.giovaniavvocati/], pronunceranno oggi in diretta un’arringa simbolica in sua difesa, una giornata intera di interventi per dare un contributo e salvare dalla morte lo scienziato.
Sono gli ultimi disperati appelli e tentativi dopo che qualche giorno fa, il 24 novembre, la moglie di Djalali, Vida Merhannia, ha ricevuto una chiamata: “Vida, è la mia ultima telefonata. Mi stanno portando nel braccio della morte”, le drammatiche parole di Djalali. L’uomo, secondo quanto riferisce Amnesty International, verrà trasferito in isolamento nella prigione di Raja’i Shahr a Karaj e sarà presto eseguita la sentenza capitale a cui è stato condannato.
La storia di Djalali ha dell’incredibile. Medico, 45 anni, residente in Svezia, docente e ricercatore in medicina dei disastri e assistenza umanitaria. Sembra un paradosso: ma una mente brillante e una specializzazione così attuale vista l’emergenza COVID-19, piuttosto che impegnata a dare un contributo nella drammatica situazione in cui versiamo per effetto della pandemia, si trova rinchiuso in carcere dal 25 aprile del 2016.
Fu arrestato mentre partecipava a dei seminari nelle università di Teheran e Shiraz sulla Medicina dei disastri. Un’attività scientifica che lo ha portato anche in Italia, nel 2012, a Novara, dove ha sede il Crimedim, il centro universitario sulla medicina delle catastrofi. Ha insegnato per tre anni nel nostro paese prima di andare al Karolinskainstitutet di Stoccolma.
Un uomo di scienza, cittadino del mondo, accusato e condannato a morte per spionaggio contro l’Iran: in pratica, per non aver voluto spiare per l’Iran. Un paese che sta soffrendo pesantemente per la pandemia “dovrebbe approfittare dell’esperienza di Djajali e magari affidargli la guida delle politiche di contrasto al Covid-19”, ha dichiarato Riccardo Noury, portavoce di Amnesty Italia, “e invece sembra avviarsi a metterlo a morte”.
La comunità internazionale si è mobilitata in queste ore per fermare il boia. Premi Nobel, università, istituzioni europee. Le petizioni online si moltiplicano, oltre 200mila le adesioni raccolte solo in Italia da Amnesty International.
Ma il caso Djalali si intreccia drammaticamente con la cronaca internazionale, la diplomazia e le vicende interne iraniane. E la recente uccisione del capo del programma nucleare iraniano che Teheran addebita a Israele, rischia di accelerare l’esecuzione del ricercatore.
Basteranno dirette Facebook, appelli via internet, richiami di istituzioni e personalità a scongiurare la sua morte?
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