Iniziamo oggi un bellissimo percorso alla scoperta della ristorazione stellata italiana e romana in particolare. Tra i vari personaggi e storie legate all’enogastronomia che vi stiamo raccontando incontreremo anche famosi chef e figure meno conosciute come maitre, camerieri, sommelier e pasticceri del fine dining. Un modo per avvicinare tutti a questo mondo magico e per molti ancora inavvicinabile.
Partiamo da Via dei Banchi Vecchi a Roma, in pieno centro storico, non lontani da Piazza San Pietro. Qui c’è l’unico ristorante con 2 stelle Michelin a Roma, “Il Pagliaccio” di Anthony Genovese. Anthony nasce in Francia da genitori calabresi ed è proprio Oltralpe che si forma ed acquisisce le migliori tecniche culinarie prima di rientrare in Italia. Nel 1991 sbarca all’Enoteca Pinchiorri di Firenze e da lì inizia il suo personale giro del Mondo; dopo Firenze, Tokyo poi Londra ed ancora l’Oriente in Malesia.
Ma il cuore è in Italia dove torna nel 1997 al ristorante Rossellinis a Ravello (SA) conquistando la sua prima stella Michelin. Nel 1998 è di nuovo in Francia prima di trasferirsi definitivamente in Italia, cinque anni più tardi, per realizzare il suo sogno. E’ il 2003 ed insieme a Marion Lichtle, amica e pastry chef, apre Il Pagliaccio. Nel 2006 la prima stella Michelin, nel 2009 la seconda. Nel 2015 entra a far parte dell’associazione Relais & Chateaux ed infine nel 2020 entra nella prestigiosa guida Les Grandes Tables du Monde, associazione che riunisce i più prestigiosi ristoranti del mondo. Il Pagliaccio è un luogo, una scelta, un viaggio unico per dieci tavoli pronti ad ospitarvi nella sala principale dove spicca un dipinto unico ed originale, il Pagliaccio, appunto!
Il pagliaccio è un dipinto che si trova nella sala del ristorante, opera di mia mamma per il mio babbo più di 40 anni fa ed ho sempre detto che un giorno, se possibile, l’avrei messo nel mio ristorante. Poi mio padre è venuto a mancare e quindi è divenuto anche un fatto affettivo. L’aspetto più materiale invece è che rappresenta quello che siamo noi. Siamo un grandissimo circo, siamo dei pagliacci che recitano due volte al giorno, a pranzo e a cena, dando il massimo per i nostri clienti, facendoli anche sorridere ma magari dietro c’è un’onda di nostalgia e malinconia. Questo è anche il mio carattere.
Sono quasi 19 anni che Il Pagliaccio è aperto e non sono mai sceso a compromessi. Non ho mai fatto una cucina ruffiana per accontentare il cliente, in una città che all’epoca era difficilissima. La mia cucina è un viaggio, qui il cliente rimane seduto per tre ore e lo porto in Oriente, in Estremo Oriente, in Francia, in Sud Italia, lo faccio partecipe della mia storia proponendo tutto il mio bagaglio culinario.
Come ha potuto vedere all’entrata c’è un campanello, quindi è come se lei suonasse a casa di amici e a loro non chiederà cosa si mangia, si affida. Al Pagliaccio succede la stessa cosa e posso dire che abbiamo il 99.99 % di positività, mai nessuno si è lamentato. Dopo il Covid la gente ha bisogno di essere coccolata, di essere presa per mano e per qualche ora dimentica la sua vita, il suo quotidiano, il caos romano, il traffico, “non ci pensare, pensiamo noi a farti felice!”. Ogni tavolo è diverso, ad ognuno viene costruito un menù ad hoc, come un sarto. Noi abbiamo un nostro menù principale poi Matteo (Zappile), il nostro Direttore di Sala, stabilisce il menù per ogni singolo tavolo a seconda delle esigenze del cliente, è un servizio esclusivo.
Mi viene naturale anche se non tutti l’hanno ancora capito. Al Pagliaccio non si impara solo a cucinare, si impara l’amore, il rispetto, la storia della cucina. Purtroppo, oggigiorno, troppo spesso viene data importanza solo al piatto in se stesso, ma il percorso di un cuoco non è solo questo. E’ saper gestire, saper rimanere in alto per tanti anni, sono più di 10 anni che abbiamo 2 stelle e piacesse a Dio un giorno magari arriverà la terza! Non è una missione che mi impongo, mi viene naturale. Chi viene qui e stabilisce un feeling con me poi da me ha tutto. Io apro e chiudo il ristorante, devo essere un esempio per i ragazzi.
Qui non si viene solo per cucinare, devi sposare la mia filosofia ed essere in contatto permanente con lo chef. Alcuni non lo accettano, altri mi ringraziano perché hanno capito che li proteggo e gli faccio capire il senso della cucina. Ciro Scamardella, Antonio Ziantoni, Francesco Sodano, Pino Lavarra, Andrea Accordi, tutti ragazzi che hanno successo e sanno che Anthony Genovese è la cucina, stare in cucina è la sua vita!
Lo sappiamo tutti quello che manca… Innanzitutto manca un riconoscimento per questa città, se dovesse arrivare lo dedicherei a Roma che amo e odio alla follia, a volte vorresti scappare da questa città “stronza” ma poi torni dopo un week end e ci ricaschi di nuovo. Mi alzo la mattina con la consapevolezza di lavorare bene e portare avanti un discorso di qualità, passione e qualcosa di diverso nella Capitale. Mi piacerebbe avere molte più stelle a Roma, sarebbe un fattore molto positivo per tutto il settore, purtroppo manca ancora un panorama solido di grande ristorazione. Troppo poco in confronto ad altre grandi Capitali, non abbiamo il supporto necessario per fare un certo tipo di ristorazione.
Matteo Zappile è un altro figlio de Il Pagliaccio, è arrivato 12 anni fa, era un “cucciolo” ma ha capito subito la mia filosofia. Come in una coppia, o ti trovi o non ti trovi. La sala è fondamentale, non è una cosa aggiuntiva ma complementare alla cucina. Non puoi fare una grande cucina se non hai qualcuno in sala che sappia descrivere quello che hai fatto. Il cliente vuole sognare ascoltando il racconto dei piatti. Noi abbiamo sempre voluto fare una sala leggera, senza pompa magna, non siamo al museo. Il cliente si deve sentire a casa, deve essere sereno e senza paura, deve solo lasciarsi trascinare, facciamo tutto noi!
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