Ristorante “Torre del Saracino” di Gennaro Esposito: l’eccellenza dell’identità
Il fortino di uno dei personaggi simbolo dell’eccellenza gastronomica, Gennaro Esposito, la Torre del Saracino a Vico Equense
La Costiera Sorrentina e Amalfitana si sa è una delle meraviglie della penisola Italica, ma esistono diversi modi per viverla e scoprirla, uno di questi è attraverso uno dei personaggi simbolo dell’eccellenza gastronomica, visitando il suo “fortino”, uno dei templi dell’haute cuisine Made in Italy.
Chiudiamo gli occhi e immaginiamo la Torre del Saracino
Chiudiamo gli occhi per un attimo e immaginiamo di essere sulla terrazza di una Torre del mille e trecento, a picco sul mare; la brezza ci desta dall’incanto in cui siamo sprofondati, ammaliati dal golfo di Napoli, dominato dall’imponenza del Vesuvio che si staglia davanti a noi come un gigante che strizza l’occhio alla Torre.
Con il calar della sera i nostri occhi fluttuano, passando dall’intensità dei colori forti del mediterraneo (l’azzurro del mar tirreno, illuminato dal sole del Bel Paese che fa brillare la costa) alla magia del paesaggio serale; il Golfo si riempie di luci e restituisce candore al Vulcano che, prima di immergersi nell’oscurità, ringrazia in uno scambio di valorizzazione reciproca.
Fissi con lo sguardo che non riesce a staccarsi dal mare, spaziamo dai mille colori di Napoli (come narrava un certo Pino Daniele) fino all’incantevole Isola di Capri; gli odori e i profumi di una cucina sublime ci sorprendono alle spalle, creando una sensazione onirica, così perfetta da sembrare irreale.
E invece, questo posto esiste davvero.
Siamo al ristorante “Torre del Saracino” di Gennaro Esposito, un guru della cucina italiana, pluripremiato, che, nonostante le mille esperienze estere, non ha mai dimenticato la sua terra, anzi l’ha valorizzata a livello esponenziale, a partire proprio del paesino che gli ha dato i natali, Vico Equense.
La kermesse “Vico in Festa”, una scommessa stravinta
Un piccolo borgo marittimo tra Napoli e Sorrento che l’estate diventa la cornice di una delle kermesse gastronomiche più interessanti e sorprendenti, “Festa a Vico”, ideata, realizzata e sviluppata dallo chef Esposito; una “tre giorni” in cui molti chef di prim’ordine, stellati e non, si ritrovano puntualmente per dare sfogo alla loro creatività, esaltando le eccellenze del territorio e deliziando commensali e visitatori, sullo sfondo di un’apprezzabile finalità benefica (che varia ogni anno e consente di supportare di volta in volta Onlus di vario genere).
Insomma una duplice scommessa che lo chef continua a stravincere ininterrottamente da ben 21 anni e sulla quale avremo modo di tornare prossimamente, perchè ciò che stavolta interessa è trasmettere ai lettori l’unicità del suo ristorante.
Un double passe tutt’altro che scontato, anche per ristoranti stellati
L’accoglienza è senza dubbio degna di un bistellato e, al di là dello chauffeur che ci solleva dal parcheggiare (il ché non dispiace), prevede il passaggio nella splendida sala interna della torre per l’aperitivo di benvenuto; un double passe tutt’altro che scontato e che, purtroppo, non si ritrova sempre neanche nei ristoranti insigniti dalle stelle michelin.
Gli interni in muratura originaria, ristrutturati ed arredati con un gusto sopraffino che coniuga la storia con il design; la maestosa macina dell’olio originale, di un secolo fa, è in bella vista, quasi a ricordare uno dei tanti utilizzi che nel tempo hanno caratterizzato la Torre (che è stata anche un frantoio); tra moderni divani colorati, si alternano pezzi di arredamento in acciaio e vetro, come sinuose sculture di delfini e meduse che danno vita a lampadari dai connotati marittimi.
Mentre un vinile diffonde una melodia soave, innaffiamo con un calice di Francia Corta Cabochon les amuse bouches che ci vengono offerte; un piccolo e sottile crostino burro e alici di Cetara, una delicata brunoise di verdure ed altre prelibatezze. Ma su tutte una piccola sfera fritta che ha solo l’odore del tipico panzarottino perché la consistenza è sorprendente; la pasta svanisce in bocca per lasciare spazio all’esplosione di sapori prodotta dall’incontro, nel ripieno, tra il prosciutto San Daniele e il Moscione (un delizioso formaggio tipico locale).
La degustazione “Identità e Territorio”, il modo migliore per saggiare la maestria dello chef
Insieme al mio illustre compagno di viaggio, il pluripremiato Maitre Chocolatier Giacomo Bellantoni, scegliamo la degustazione “Identità e Territorio” che sarà accompagnata da vini eccellenti da una fantastica degustazione di pani; la scelta è la più ampia tra le alternative percorribili e quindi, riteniamo, la migliore per poter saggiare la maestria dello chef Esposito e della sua valente brigata, tra cui meritano una menzione particolare il sous chef Giuseppe di Martino ed il pastry chef Michele Cannavacciuolo.
L’esordio ci sorprende nonostante le aspettative altissime, l’Ostrica con spremuta di pera e zenzero è elettrizzante, la brevissima cottura a vapore a cui viene inaspettatamente sottoposta, le conferisce una consistenza migliore, liberandola dalla consueta viscidità; la polpa è più carnosa, succulenta e la riduzione di pera e zenzero ne esalta il gusto autentico senza coprirlo.
Seguono una serie di entrées di alto livello come le “Alici, paletta di fichi d’india e salsa agli agrumi”, la “Palamita marinata dolcemente con fegato grasso e mais tostato” e l’“Involtino di scarole e lenticchie”; picco di qualità assoluta si raggiunge con il crudo di gambero rosso locale che convola a nozze con le zucchine dell’orto personale dello chef (quello di Montechiaro, il paesino natio del papà) in un piatto denominato “Tutta la pianta di zucchine con gambero rosso e gnocchi di fiori”; chiusuradegli antipasti con il “Baccalà cotto in olio al finocchio con la sua emulsione e salsa remulade”, dove la cottura del baccalà in un olio a 48°, lo rende scioglievole al punto giusto e ne equilibra la sapidità, liberandone il gusto.
Notevolissimi anche i due primi che sperimentiamo: il “Risotto al peperone crusco, essenza di guance di merluzzo e origano”dove il pregiato peperone piccante (frutto della lavorazione del dolce peperone lucano) si sposa perfettamente con la sapidità del merluzzo; e i “Ravioli fondenti di erbe spontanee alle noci, albedo di limone e cicorietta selvatica”, dove la sfoglia, perfettamente tirata, racchiude un ripieno di sapori del territorio, dal retrogusto intrigante, al tempo stesso croccante e leggermente amaro (grazie al sapiente abbinamento di cicorietta, cardo, borragine ed altre erbe spontanee).
Il passaggio ai secondi, mantiene sempre alto il livello di soddisfazione e se la “Rana pescatrice arrostita con spuma di sedano, radice di prezzemolo e caviale” è un esempio riuscito di mix tra tecniche di lavorazione e qualità del prodotto, l’Agnello Laticauda allo spiedo con pappa al pomodoro, olive di Gaeta, nespole e tartufo nero, merita un plauso speciale. Già la sola mise en place, terminata al tavolo con la salsa del suo fondo di cottura, ci pone di fronte ad un piatto di un livello difficilmente eguagliabile.
Lo stacco dei colori, le forme fluttuanti, quasi in movimento, ricordano un quadro di Mirò influenzato, anziché dal cubismo di Pablo Picasso, dal “tempismo” del Maestro Esposito; eh si perché uno dei mantra del nume gastronomico campano è proprio quello di prendersi “il tempo giusto”. E così questo piatto esprime tutta la pazienza, l’amore e la dedizione necessari per preparare ed assemblare insieme i singoli elementi: un bocconcino prelibato di ragù d’agnello dalle sembianze di un cioccolatino fondente; una piccola porzione di guancia, squisita, e poi la pancia dell’agnello, entrambe coperte ed esaltate dalle scaglie di tartufo estivo.
Il tutto visivamente impreziosito da un stellina di rapa e da un cuore di pappa al pomodoro che conferisce colore alla splendida composizione, rafforzandone il gusto deciso ed avvolgente.
Insieme all’ostrica il piatto più entusiasmante, dolci a parte.
Ed è proprio nello stacco che precede il dulcis in fundo che lo chef ci onora di un rapido ma significativo giro in cucina dove ammiriamo la brigata di quattordici persone al lavoro, sempre veloce, precisa ed organizzata; sensazione di efficienza complementare a quella, invece, emozionale che si prova entrando nella cantina del ristorante che, alle etichette più prestigiose, anche internazionali, affianca le piccole virtuose cantine della Campania, marcando ancora una volta il carattere identitario di questo luogo.
La chiusura da standing ovation
La chiusura è da standing ovation anche perchè non capita spesso nel fine dining che con il dolce il livello, anzichè subire una flessione, si innalzi ulteriormente.
Il pre dessert è stupefacente: Nuvola ghiacciata alle erbe aromatiche con gelato al kefir di bufala; un piatto a cui va decisamente stretto il ruolo preparatorio. Il gustosissimo composto aromatico, dopo aver rinfrescato il palato, non si scioglie ma scompare letteralmente; un gioco di prestigio reso possibile, ci spiega lo chef, da un passaggio in uno speciale abbattitore che raggiunge la siderale temperatura di meno 70°; il delizioso sorbetto alla pesca e le noci di Sorrento completano magistralmente l’opera.
Non resistiamo alla tentazione di provare due altre creazioni
Il “Babà Napoletano secondo la tradizione” non tradisce il legame con il territorio che ci ha accompagnato lungo il percorso e conferma l’eccellenza identitaria del ristorante.
Ma la vera sorpresa è l’ultimo dolce: “Una diversa crostata alle fragole: rabarbaro candito e verbena”: il gusto, quasi alienante per la bontà, viene eguagliato solo dal livello tecnico di lavorazione: il pastry chef Michele Cannavacciuolo ci svela come la cottura del rabarbaro, alla giusta temperatura (frutto di molteplici esperimenti), lo priva della consueta fibrosità, mantenendo quell’amaro basale che contrasta con il dolce della crema in un’esplosione di freschezza sublime.
Estasiati e soddisfatti nel gusto e nel cuore dopo un’eccellente combinazione di cibo e location, svolti i calorosi saluti e ringraziamenti agli autori di tutto ciò, ci apprestiamo a tornare dal cortese chauffeur quando accade l’inaspettato.
Avendo evidentemente carpito il nostro proposito, dopo un simile percorso gustativo durato quasi 4 ore, di optare per un dinner leggero, magari a base di crudo lungo la costa sorrentina, lo chef Esposito “ci comunica” che si è liberato un tavolo per 2 per la sera; alle nostre orecchie suona come il “canto delle Sirene” per Ulisse, impossibile resistere.
La serata che non ti aspetti alla Torre del Saracino
Dopo un breve relax rinfrescante in hotel, trascorse appena 2/3 ore, siamo di nuovo alla Torre del Saracino per ammirare anche il paesaggio serale e completare la nostra avida curiosità culinaria con i piatti della carta che, a pranzo, avevamo obtorto collo messo da parte a favore della degustazione.
Ci accoglie un crudo fantastico (“la nostra interpretazione del crudo di pesce”) suddiviso in due piatti in sequenza: nel primo troneggia il gambero contornato da carpacci e tartare di pesci di sabbia, mentre nel secondo la composizione di pesci di scoglio ruota intorno a sua maestà “lo scampo”. Lode piena per il gusto che sprigiona un prodotto locale di qualità altissima ma anche per la mise en place che conquista e predispone sin da subito.
Il Piatto più identitario e trasversale: “la minestra di crostacei”
Concludiamo con un assaggio di primo e secondo.
E se la “spigola (pescato del giorno) in cottura lenta con ripieno di mazzancolla, biedole e salsa di seppia al tartufo”, mantiene alta la soddisfazione gustativa, è però la “Minestra di pasta mista con crostacei e pesci di scoglio”che caratterizza lo show finale.
Un piatto, non solo identitario ma anche trasversale che entusiasma ad ogni latitudine, sia geografica che anagrafica, e che mette d’accordo addetti ai lavori, amanti della buona tavola ed avventori occasionali, anche internazionali; un tripudio di sapori di mare fortemente evocativo della tradizionale zuppa di pesce in grado però di fondere haute cuisine e identità del territorio, come solo la maestrìa dello chef Gennaro Esposito poteva fare.
Tutto questo, ospitalità con la “O” maiuscola, soddisfazione gustativa ad altissimi livelli e location mozzafiato, solo a La Torre del Saracino, Vico Equense, due stelle Michelin… per il momento…
Marco Tocci
Avvocato, patrocinante in Cassazione, esperto in diritto immobiliare e in food law, quale amante e conoscitore della buona tavola, da anni si diletta a testare i ristoranti più sorprendenti, convinto che il cibo di qualità sia quasi un obbligo per la salute del corpo e ancor di più per la gioia dell’anima.