Il danno ambientale è potenzialmente incalcolabile. C’è un mare di rifiuti che dorme sepolto a qualche metro di profondità nel cosiddetto “Vallone” a ridosso del Parco archeologico di Centocelle. Lì dove fino a febbraio del 2010 sorgeva il Casilino 900, il campo nomadi più grande d’Europa, tra la via Casilina e viale Palmiro Togliatti a Roma.
Non più una denuncia ma un fatto, dopo che alcuni cittadini e imprenditori delle demolizioni (regolari) della zona hanno deciso di dire basta e hanno piantato il piccone nel terreno per tramutare “una certezza” in una prova. È bastato scavare la terra un paio di metri, ieri pomeriggio, per iniziare a sentire i primi miasmi, poi un colpo in più ed è venuto fuori di tutto: mattoni e scarti edili, vestiti, borse, sacchi di plastica, stampelle, catrame, ferro e tanti pannelli di legno. Uno strato di rifiuti dormiente, una nuova “terra dei fuochi” non troppo lontana dal centro di Roma
La scoperta avvenuta nelle scorse ore, riporta la memoria esattamente a 11 anni fa, quando il campo nomadi abitato da oltre 600 persone veniva sgomberato e chiuso per sempre. Era il 15 febbraio del 2010 e l’allora sindaco di Roma, Gianni Alemanno, chiudeva il cancello insieme al Prefetto capitolino, Giuseppe Pecoraro. Nei giorni successivi all’evento seguito da giornali e tv, iniziò la bonifica dell’area che sarebbe dovuta diventare un parco.
Tonnellate di rifiuti da rimuovere, quel che restava del lavoro delle ruspe e dei bobcat che avevano messo la parola ‘fine’ alla storia cinquantennale di una ‘città nella città.
Le operazioni durarono alcuni giorni, prima davanti al traffico di via Casilina, poi a metà marzo nel cuore dell’area verde, in una zona più riservata e non in vista. Qui avvenne qualcosa di strano: i resti degli abbattimenti insieme ai rifiuti abbandonati dai nomadi non furono portati via, ma spostati e accatastati con cura in una grande gola, in parte naturale e in parte spianata dalle ruspe.
Operazioni testimoniate da alcuni video dell’epoca, poco noti, che l’agenzia Dire ha potuto visionare e in cui si vede chiaramente come questo mare di rifiuti sia stato poi coperto con dei teli in plastica azzurri, e quindi interrato.
“Nei giorni successivi allo sgombero il cancello era rigorosamente chiuso e vigilato dalla Polizia di Roma Capitale e non si poteva accedere. C’erano camion che andavano e venivano.
Hanno portato via i primi 40 metri sul lato Casilina, tutto il resto è stato abilmente interrato”, ricorda Alessandro Moriconi, già assessore all’Ambiente di quel Municipio, l’ex VII ora V.
“Non è trapelato niente. Per me – prosegue – c’è stata una volontà dell’allora amministrazione, quella di Alemanno, di cercare lo scoop dello sgombero del campo rom abusivo e basta. A noi del Municipio non venne data alcun tipo di comunicazione, fu gestito tutto a livello centrale dal Comune di Roma”.
A realizzare quei video è stato Tonino La Marra, storico autodemolitore regolare di via Togliatti, testimone oculare di quei giorni: “Quando vidi questi movimenti, presi il telefonino e iniziai a riprendere. Quello che è successo qui sotto lo potevamo vedere in pochi, perché solo noi affacciamo su questo tratto di parco. All’epoca chiamai il dipartimento Tutela ambientale di circonvallazione Ostiense ma mi risposero in malo modo.
Poi chiesi agli operai al lavoro: qualcuno mi disse che dovevo farmi gli affari miei, qualcun altro che quello era il loro lavoro e sapevano cosa fare”. Interpellato dall’agenzia Dire, l’allora sindaco di Roma, Gianni Alemanno, ha respinto le accuse e ha spiegato che le immagini dei video non devono fare preoccupare: “Questa è una notizia falsa. Quei rifiuti non sono più lì. Mi sono informato.
La cooperativa che era stata incaricata di sgomberare, sotto la direzione del Prefetto e delle Polizia Municipale, in un primo momento ha fatto lo stoccaggio a cui si riferiscono quelle immagini, mettendo teloni sotto, sopra e coprendoli provvisoriamente. Dopo di che – precisa Alemanno – ci fu una denuncia e successivamente tutto quel materiale è stato portato via. Non sta più lì, ci furono degli accertamenti. Quel materiale è stato totalmente sgomberato sotto la mia Amministrazione, quindi quello che dicono è una cavolata, per non dire altro”.
Di fatto però, basta scavare un paio di metri di terra ed ecco emergere miasmi e rifiuti di ogni tipo: da sacchi di plastica a pezzi di catrame, da resti di docce a stampelle e vestiti, da mattoni forati a intere buste di guaina isolante, da pezzi di tetti al legname marcio. Un piccolo sondaggio nella terra scaricata negli anni nell’area, che ha riportato alla luce cosa si nasconde sotto lo strato superficiale. Un danno ambientale potenzialmente incalcolabile se riportato alla vastità della zona.
“Questo è quello che c’è se si scava. Se è stata fatta una bonifica, questo materiale non differenziato qui sotto non ci deve stare. E se vengono a scavare come si deve, trovano anche di peggio“, assicura Tonino La Marra che a riprova degli scempi ambientali compiuti negli anni, – come avvenuto sul lato opposto del parco, nel cosiddetto ‘canalone’ che anni fa bruciò per giorni – ci ha mostrato le foto dell’epoca che dimostrano come la conformazione del territorio sia cambiata: ora ci sono colline che prima non c’erano e terrapieni che potrebbero nascondere chissà quanti rifiuti speciali.
Per non parlare di un’altra zona a ridosso del Parco Archeologico, “dove i nomadi al tempo, in cambio di qualche soldo, interrarono montagne di sacchetti di scarti edili” su cui poi venne scaricata la terra e ora la gente viene a correre e i senza tetto piantano le tende. Tutto alla luce del sole, nell’indifferenza generale.
(Ago/ Dire)
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