Da ieri sera, 28 settembre, la storica trattoria romana “Qui nun se more mai”, sull’Appia Antica, ha serrato i battenti. Cetrioli, patate e torta di ciliegie per Ernest Hemingway al tre. Tagliatelle e cannelloni per Federico Fellini al due. E chissà, invece, che cosa amava mangiare Curzio Malaparte: nessuno lo ricorda più. Voci e ricordi di un tempo andato, giorni felici su cui è calata per sempre la serranda.
Oggi i gestori del locale consegneranno le chiavi dello stabile, i proprietari hanno deciso di non rinnovare il contratto. Le grandi botti che incorniciano l’entrata saranno portate via e le pareti – adornate di foto con personaggi famosi torneranno vuote.
“Qui si fanno solo piatti romani: amatriciana, fettuccine, gnocchi fatti in casa, e ravioli al pomodoro. Quando vado in campagna raccolgo la cicoria e la porto qui, la cuciniamo insieme a mio marito”, racconta Alba, che gestisce la locanda insieme ad Alessandro ed è la cuoca del ristorante. “I proprietari hanno deciso di vendere lo stabile, non ci hanno rinnovato il contratto e domani dobbiamo riconsegnare le chiavi dopo 40 anni”, prosegue.
Alba e Alessandro sono sposati da 58 anni, e da quaranta lavorano insieme. “È nata come una famiglia allargata, tutti ci vogliono bene e noi vogliamo bene a tutti. Siamo moglie, marito e due ragazzi che sono cresciuti qua dentro, la loro storia è questa, la loro vita è questa. I nostri sacrifici ci sono, questa qui è stata una batosta, c’è tanto dispiacere ma purtroppo non c’è niente da fare“, aggiunge. Alla storica trattoria hanno dedicato sonetti importanti scrittori, altri artisti l’hanno resa teatro di leggende popolari romane. “Curzio Malaparte le ha dedicato due sonetti e Christian De Sica viene sempre, gli piacciono le fettuccine fatte in casa”, racconta Erminio, il figlio di Alessandro e Alba che oggi gestisce il locale insieme ai genitori e una decina di dipendenti.
“Una volta qui c’era la posta dei cavalli che arrivavano a Roma, con cibo e bevande e si fermavano qua a pagare il dazio, stiamo parlando del 1800”, prosegue. Aveva 10 anni quando mamma e papà hanno acquistato la locanda, oggi ne ha 52. “Vivo qui dentro da quando ero piccolo e ora vendono tutto lo stabile. Ho sempre pagato tutto, ma m’hanno voluto cacciare via, non so nemmeno il motivo”, racconta.
Prima del 1983 un’altra famiglia gestiva la locanda, almeno dal 1924. “Ci vengono da generazioni: prima i padri con i figli, e oggi i figli vengono con i loro figli”, conclude Erminio mentre prepara i tavoli per l’ultima cena. In questi giorni il cantautore Vinicio Capossela ha tenuto un concerto per cercare di attirare l’attenzione ed evitare, sul fil di lana, la chiusura.
L’assessora al Commercio di Roma, Monica Lucarelli, pure ci è andata a cena e poi sui social ha scritto un toccante messaggio di vicinanza: “Sposati da 58 anni, mano nella mano lavorando fianco a fianco in questa splendida trattoria romana. Esperienza, passione, amore per il proprio lavoro, fantastici ravioli fatti con queste mani”, ha scritto Lucarelli.
“La cicoria raccolta al campo, le patate che arrivano da Viterbo per fare gli gnocchi e quelle di Avezzano per la brace. Un luogo così non può e non deve chiudere. Gli occhi lucidi dei clienti da sempre che vengono anche solo per un saluto. Il mio impegno c’è perché è inutile parlare di valorizzazione delle nostre eccellenze se come istituzioni non riusciamo a supportare famiglie che hanno costruito il proprio futuro con il lavoro quotidiano”. Intanto ieri sera c’è stata l’ultima cena, piatti tipici della tradizione romana, vino leggero, molti abbracci e forse, dietro la serranda calata per sempre, un sospiro di rimpianto.
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