Vado allo stadio da quando sono un ragazzino e non mi era mai capitato niente del genere, per questo voglio raccontare l’episodio di ieri sera, 26 gennaio. Per sensibilizzare? Per denunciare? Per raccontare e partecipare insieme come forse si fa in una partita.
Vado allo stadio perché mi piace il tifo, le urla festose, l’atmosfera di un rito collettivo in cui si esulta o ci si amareggia un po’ per un risultato comune. Io sono romanista e quindi, ieri sera, con la mia compagna, imbottiti e con degli snack, siamo andati allo stadio gasati per il derby. Per coloro che hanno una disabilità che impedisca la deambulazione c’è un apposito parcheggio all’interno dello Stadio dei Marmi, attaccato allo stadio Olimpico stesso. Premetto che quando esco dallo stadio tendo a non esibire troppo i miei sentimenti, che siano di entusiasmo o di abbattimento, perché credo che non sia rispettoso, lo trovo poco sobrio e non mi pare di buon gusto. Uscito da questo parcheggio, in macchina, con la mia compagna alla guida e io a fianco, all’altezza della Farnesina ci siamo trovati in un ingorgo dovuto al flusso di automobili di ritorno dallo stadio.
Un signore a piedi, evidentemente laziale con tutti i segni distintivi bianco-azzurri, in piedi contro corrente rispetto al traffico, analizzava gli occupanti delle macchine. Quando ha visto, probabilmente, la mia sciarpa giallo-rossa si è quasi coricato sulla parte anteriore della mia auto. Ho provato un certo timore, mentre urlava e tirava cazzotti dove ero seduto, accanto al conducente. Ho avuto l’impressione che l’uomo fosse in uno stato di coscienza alterato. Dal mio finestrino gli ho mostrato il tesserino della disabilità, sperando che questo lo convincesse a fermarsi. Lui invece, non solo ha continuato, ma ha chiamato 3-4 persone che hanno circondato la macchina, e hanno preso a dare calci, botte e a sputare sulla macchina. Poi invece sulla parte posteriore hanno cercato di staccare le spazzole che puliscono il vetro. Sono stati momenti concitati. Appena il rallentamento si è sbloccato la mia compagna ha accelerato e ci siamo allontanati. Dalle altre auto nessuno è intervenuto, probabilmente per timore.
Credo che quello che è successo non abbia molto a che vedere con le squadre e le tifoserie, ma con la frustrazione di qualcuno che non ha valori e progetti con cui identificarsi. Una certà povertà culturale e aridità emotiva che non trova altra espressione se non quella del “gruppo”.
Quello che provo questa mattina è tristezza e certamente anche rabbia. Non posso fare a meno di ragionare da neuropsichiatra prima che da vittima della situazione o tifoso: non credo che, quelle che mi hanno in qualche modo aggredito, siano persone serene, credo piuttosto siano estremamente ansiose, arrabbiate,probabilmente irrealizzate a livello professionale, poco in contatto con se stesse, persone che soffrono insomma. Persone che si sentono importanti solo quando la loro identità costruita ha un momento di protagonismo patologico e violento. Il che non significa giustificarli ma comprende questi comportamenti.
Al mondo del calcio domando però: perché non cambia il suo linguaggio? Usa un linguaggio non di competizione agonistica, ma di ferocia, di guerra, un tifo compensativo che i vertici calcistici semi-autorizzano. Invece di dire squadra determinata spesso sento dire “una squadra che non riesce a far male” e si tratta del vocabolario belligerante di cronisti profumatamente pagati e preparati, non di un ultrà di curva. Perché non si fa un giro simbolico dei giocatori insieme? Per comunicare che non è un’inimicizia di trincea, ma una sfida. certo non risolverebbe, ma avrebbe una forte utilità e impatto.
Mi sono chiesto perché questo è accaduto a me; credo che abbiano iniziare a inveire per via della mia sciarpa della squadra avversaria, ma credo che poi abbiano infierito con maggiore aggressività perché quasi delusi dal mio bollo che segnala la disabilità. Avrebbero preferito, questa è una mia impressione, che fossi stato privo di handicap, e che avessi iniziato una scazzottata con loro. Sono una persona anche in vista a livello politico e sportivo per conduzioni televisive in passato, credo anche per questo.
Devo ammettere che mi hanno sottratto la spensieratezza di andare allo stadio. Queste persone mi hanno fatto sentire prigioniero della mia disabilità, perché non potevo scendere dalla macchina e ovviamente non volevo che scendesse neppure la mia compagna. Mi sono sentito prigioniero della loro violenza, e ho sentito in qualche modo di rendere prigioniera anche la persona che amo. Mi hanno obbligato a pensare alla mia disabilità in un modo diverso e doloroso.
Continuerò a seguire le partite e a divertirmi allo stadio…e a riflettere sulla natura umana.
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