Nella giornata di ieri, 25 novembre, a Roma come in molte città italiane si sono svolti numerosi eventi e iniziative per celebrare la Giornata Internazionale per l’eliminazione della violenza sulle donne. Una giornata ormai riconosciuta dal 1999, istituita dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite con la risoluzione numero 54/134.
Nella capitale alcuni palazzi come quello della sede Rai in viale Mazzini e monumenti storici come il Colosseo sono stati illuminati di rosso. Un colore diventato ormai il simbolo della lotta contro violenza sulle donne.
Tuttavia, questo non è stato l’unico gesto a cui si è limitata la città. Tra le tante iniziative, promotrici della lotta contro la violenza, c’è stato il flash mob che si è svolto in Piazza Aldo Moro davanti all’Università La Sapienza. Un’iniziativa organizzata dal movimento transfemminista Non Una di Meno e supportata dal collettivo studentesco Link Sapienza.
La scelta del luogo non è stata causale. Infatti, come ha sottolineato Lucia Scardella, coordinatrice di Link Sapienza, “i luoghi della formazione sono centrali nella lotta contro la violenza di genere e la violenza maschile sulle donne“. Questo perché è da queste sedi istituzionali “che dovrebbe partire una rivoluzione dei saperi che riescano a lottare contro una società che è ancora fortemente patriarcale”.
Effettivamente, la violenza di genere è ritenuta figlia di una società in cui è ancora intrinseco il sistema patriarcale. Riconoscere le violenze e parlarne è il punto di inizio per la sensibilizzazione e il cambiamento di una società. Infatti “per sdradicare quella narrazione che molto spesso è complice” è importante “ribaltare il sapere in un’ottica radicale,” conclude Scardella.
La lotta deve essere continua e non deve limitarsi alla giornata simbolo. Per questo motivo il movimento “Non Una Di Meno” è “sempre in prima linea” anche in questo caso. E’ ritenuto fondamentale che “il mondo della formazione si renda conto di quant’è importante far fronte su questi temi. E soprattutto di quanto sia necessario formare una nuova generazione transfemminista“, sottolinea Elisa R, attivista del movimento “Non Una di Meno“.
Le nuove generazioni chiedono di essere formate sulle tematiche transfemministe, probabilmente perché le istituzioni scolastiche “non lo fanno”. “Rispondere a queste esigenze” è uno degli obiettivi del movimento.
“La colpa è del patriarcato, il braccio armato dello Stato. Dice che sono il problema giustificando il suo sistema“. Queste sono le parole forti e piene di rabbia che vengono urlate dalle attiviste durante il flash mob. Un inno che ha l’obiettivo di essere “il grido altissimo e feroce di tutte quelle donne che più non hanno voce”.
L’urlo per la lotta continua. Questa volta l’iniziativa è portata avanti dall’Associazione giovanile e progressista InOltre. In questo caso l’urlo è quello di Penelope, “una figura relegata al ruolo di mero angelo del focolare, paradigma perfetto della donna votata all’abnegazione. Obbediente, fedele a quanto le aspettative sociali e la morale corrente raccontano”, come sottolinea Giordano Bozzanca, presidente dell’associazione InOltre.
Infatti, Penelope nell’epica incarna “il ruolo di creatura subordinata alla superiorità maschile, di cui si può disporre come un oggetto. Ma se Penelope avesse potuto raccontare da sé la propria storia quale sarebbe stata la sua voce?”, continua Bozzanca.
Questo è un interrogativo che l’intera associazione si è posto. Per questo motivo con questo ritratto – realizzato con 3000 nomi di vittime di femminicidio, avvenuti in Italia dal 2006 al 13 novembre 2020 – si ha l’intento di “sensibilizzare l’opinione pubblica a non essere solo ricettiva di quel grido. Ma a gridare a sua volta, ogni giorno e non solo il 25 novembre”.
La cosa che desta più stupore, come anche sottolinea Francesca Grosso, artista del ritratto, è che “a volte le donne vengono appellate con il loro ruolo e non hanno un nome. Come se non fossero delle persone”. È importante sottolineare e non dimenticare che anche i ruoli utilizzati per identificare le vittime – come donna, moglie, ragazza e figlia e anche gli appellativi come sconosciuta, anonima o incognita – rappresentano una persona.
“Scrivere quei nomi è stato difficile, perché ognuno di essi portava con sé una storia” continua Grosso.
La realizzazione è stata possibile grazie all’utilizzo degli archivi forniti da Femminicidio Italia e la Casa delle donne di Bologna. L’obiettivo dell’Urlo di Penelope è proprio quello di essere “un ritratto e al tempo stesso denuncia e monito all’intera società civile: non si può essere sordi al grido di dolere che lacera il ventre del Paese”.
Per questo motivo, come sottolinea l’attivista di InOltre Linda D’Attili, presente all’inaugurazione del ritratto nella Casa del Municipio Roma I Centro, “l’opera non vuole trasmettere compatimento, ma riscatto. Un urlo ad unisono, simbolo di tutte le donne uccise, che vuole rivendicare i diritti”.
“Noi in quanto InOltre puntiamo a sanzioni più severe e pene più giuste. Ma questo non basta, è anche necessario fare un percorso di educazione culturale” conclude D’Attili.
Soltanto così, si può mettere fine a un gesto che non può essere più tollerato e giustificato.
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