Categorie: Cronaca

Roma, i fancazzisti, figli dell’oca bianca capitolina

Negli ultimi tempi, soprattutto grazie al programma televisivo “Le Iene”, abbiamo visto che alcuni dipendenti di Roma Capitale, subito dopo aver timbrato il cartellino, anziché dedicarsi al lavoro per il quale sono pagati, escono per i fatti loro. Vanno al bar, in banca, in farmacia, al supermercato o in qualche altro negozio a fare acquisti. I meno spavaldi si accontentano di passare un po’ di tempo in conversazione con i colleghi, tranquillamente seduti a fare colazione al bar interno dell’ufficio.

Ci sono anche molte persone serie, soprattutto quelle addette agli sportelli al pubblico, che timbrano e si mettono subito al lavoro, facendo, sia chiaro, semplicemente il loro dovere. Ma quelli che pensano soprattutto ai fatti loro, mentre la collettività li paga, sono sinceramente un po’ troppi. 

Il fenomeno, oltre ad essere offensivo, può anche configurare un reato di truffa, ai danni del datore di lavoro e della collettività. Tante piccole truffe, che messe insieme producono un danno enorme a tutti noi. Tra l’altro il fenomeno , come ci hanno mostrato sempre “Le Iene”, non si presenta solo negli uffici del Comune, ma anche in quelli dei Ministeri, della Regione, delle ASL e persino dei tribunali!

I lavoratori del pubblico impiego, insomma, pensano di essere diversi dagli altri lavoratori dipendenti del settore privato, che non si possono certo permettere le libertà che si permettono loro, perché, altrimenti, verrebbero subito licenziati.

I dipendenti pubblici, insomma, tra i lavoratori, sono davvero “figli dell’oca bianca”; dei privilegiati, garantiti nei diritti ma svincolati dai doveri.

A fronte di questa condizione privilegiata ci aspetteremmo da loro educazione, efficienza e disponibilità. Ma sono comportamenti che raramente rileviamo negli uffici pubblici.

Le ragioni di questa situazione sono molte: la vicinanza, a volte la connivenza, tra i dipendenti e il potere politico; la stretta relazione tra le loro organizzazioni sindacali e gli amministratori che sono dei politici; gli scarsi, e comunque inefficaci, strumenti di controllo sul loro lavoro. Tutto questo si traduce in una sostanziale condizione di impunità, che nel passato ha raggiunto livelli scandalosi e che quindi oggi è molto difficile da eliminare.

Lo dimostrano le reazioni dei dipendenti colti sul fatto: vergogna e  pentimento zero, ma molta aggressività e arroganza. Quasi che i colpevoli fossero quelli che li controllano, come le “Iene”, e non quelli che fanno i loro comodi.   

Ma questo problema dell’assenteismo e del “fancazzismo” può essere risolto? E come può essere risolto? E, soprattutto, davvero si vuole risolvere? 

Si, perché dopo il primo servizio delle Iene, quello sugli Uffici comunali di Largo Loria, il risultato non è stato l’aumento dei controlli sul personale (infatti tutti continuano a fare i propri comodi) ma l’aumento dei controlli sui visitatori, in modo da evitare che si introducessero persone in grado di verificare quello che avviene nell’ufficio.

Nei servizi delle “Iene”, però, quello che mi ha colpito di più sono state le reazioni dei Dirigenti intervistati; cioè delle dirigenti che, come si suol dire, ci hanno “messo la faccia”: in questo caso la direttrice del Municipio II e quella del Dipartimento dei Servizi Sociali.

Entrambe si sono scusate, assumendosi le loro responsabilità; ribadendo però che loro i controlli li fanno regolarmente. Il problema, infatti, è che i controlli, così come vengono fatti, sono inefficaci. Una di loro ha risposto alle “Iene”, che l’accusavano di non controllare gli impiegati, “cercherò di migliorarmi”.

Ecco, la domanda ora è: come si potranno migliorare? Perche dobbiamo innanzitutto chiederci quali sono gli strumenti a disposizione dei dirigenti e, subito dopo, cosa succede se il dirigente controlla rigidamente ed applica il contratto alla lettera. Non lo sapete? Ve lo dico io.

Se un dirigente fa i controlli sul serio, gli impiegati li boicottano lavorando di meno, rallentando le procedure, assentandosi per malattia. Nello stesso tempo, i sindacati scendono sul piede di guerra contro il dirigente “poliziotto, che istaura un clima di terrore”. Poi arrivano le telefonate di politici, che “suggeriscono” maggiore flessibilità: e il dirigente è guardato come un infame. Persino i superiori (Sindaco, Assessore al Personale, Segretario Generale) che dovrebbero difenderli, li abbandonano.

I dirigenti lavorano ormai “per obbiettivi” e vengono valutati in base alla percentuale di raggiungimento degli stessi, dai quali dipende anche il loro stipendio. Ma non  hanno veri strumenti di controllo né sul personale né sull produzione. E l’Ufficio di controllo interno, che pure esiste nel Comune, in effetti controlla solo i dirigenti e la loro capacità di raggiungere gli obbiettivi.

E siccome in quel clima di tensione il dirigente, ormai inviso a tutti, non riesce più a governare l’Ufficio e tantomeno a raggiungere gli obbiettivi, alla fine viene trasferito a un altro incarico, di solito meno prestigioso, mentre l’Ufficio torna rapidamente all’antico andazzo.

D’altronde non potrebbe essere altrimenti, visto che viene punito solo chi cercava di far rispettare le regole e non chi le viola. E il dirigente, umiliato e malvisto, si ritrova pure emarginato.

Mi spiegate ora perché mai un dirigente dovrebbe infilarsi in questo tunnel?  Se ci riuscite, provate a darvi una risposta che abbia un senso.

Francesco Febbraro

Architetto, con lunga esperienza di direzione di Dipartimenti e Municipi di Roma Capitale. Per anni docente universitario a Valle Giulia, autore di pubblicazioni sullo sviluppo urbano tra cui "Codilex Urbanistica" "Vademecum edilizio" e "La macchina inceppata" sull'organizzazione degli uffici pubblici. Scrive di attualità e politica.

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