Roma in bicicletta: le meraviglie della pista sul Lungotevere

Osservare le meraviglie di Roma da un punto di vista “diverso”, si può. Ma “diverso” in che senso? Nel senso di “non usuale”

Osservare le meraviglie di Roma da un punto di vista “diverso”, si può.
Ma “diverso” in che senso?
Nel senso di “non usuale”, risponde lo scrivente.
La cosa è semplice e per capire meglio la questione, basta montare su una bicicletta e partire per un viaggio a dir poco affascinante che porta da Roma Nord a Roma Sud, da Labaro a Tor di Valle, percorrendo la pista ciclabile della Tiberina, più comunemente conosciuta come pista ciclabile del Lungotevere.

Se per i primi 10 km si è immersi in un paesaggio bucolico dove la natura è protagonista incontrastata, nei restanti 25 km, le cose cambiano radicalmente.
Sì, perché arrivati a Ponte Milvio, si penetra nel cuore di Roma e da qui in poi entra in gioco quel “diverso” di cui parlavo sopra.
Non più l’anima rurale della città, silenziosa e piena di suoni, fatta di una natura che ti sorprende, panorami e scorci mozzafiato, tra mille cinguettii diversi di uccelli colorati e il rumore delle chiome degli alberi scosse dal vento.

Da qui comincia tutta un’altra avventura, quella che ti porta a osservare la città dal basso, percorrendo la riva destra del Tevere e passando sotto i suoi ponti.
Ed è qui che entra in gioco il “diverso”.
Non perché passi dalla campagna alla città.
Ma perché guardi la città dalla sua base, quella da cui nascono tutti i suoi monumenti, chiese, palazzi per ergersi fino al cielo.
Solo così hai l’esatta percezione della grandezza e della maestosità di Roma.

E il senso di reverenza che questa visione ti porta a provare raggiunge il suo culmine quando la mole di Castel Sant’Angelo improvvisamente ti si para davanti e le statue degli angeli di ponte Sant’Angelo sembrano decisi a sbarrarti la strada.
E già, laggiù, tra gli archi del ponte proprio davanti a te, ecco comparire l’isola Tiberina che invece, con la sua forma longilinea, pare invitarti a continuare a pedalare verso la meta.
Mentre pedali sotto lo sguardo paterno della cupola di San Pietro che si allontana alle tue spalle, ecco comparire il campanile della Basilica Minore di San Bartolomeo.

Il contrasto del suo colore scuro con l’azzurro del cielo è impressionante, quasi stridente.
Ma è qui, al crepuscolo, quando si accendono le luci e il garrito dei gabbiani che volano radenti su ciò che resta del più antico ponte in muratura di Roma, ponte Emilio o ponte Rotto, si confonde col rumore delle acque agitate del Fiume, che vale la pena fermarsi e rimanere in contemplazione di uno dei quadri più belli e suggestivi della Meraviglia.

Prosegui mentre le emozioni giocano col tuo respiro accelerato e non solo per lo sforzo.
Sulla sinistra ecco il vecchio e sontuoso gazometro, immensa torre metallica di quasi 90 metri d’altezza, simbolo del quartiere Ostiense e rappresentante indiscusso di un altro tipo di archeologia romana, quella industriale.
Ma tu non ti fermi.
Il percorso ti porta a costeggiare la Magliana fino ad arrivare all’omonimo ponte, poi scendi tra discariche e baracche rom per poi risalire costeggiando l’autostrada Roma-Fiumicino e tornare a un paesaggio bucolico simile a quello che ti ha accompagnato nella prima parte del percorso.

Una curva a gomito, una salitella e Roma ti offre un regalo, una sorpresa inaspettata.
Un ponte romano.
È nascosto sotto la via Ostiense.
E io adesso sono là.
È il termine del mio viaggio, un’avventura nell’avventura che incornicia un pomeriggio unico.
Non posso resistere, devo fermarmi ed esplorarlo.
C’è una fontanella con acqua freschissima, prima della discesa nel buio che mi fa quasi pensare di essere un novello Indiana Jones del XXI secolo.
Scendo dalla bici e bevo avidamente.
Poi mi faccio largo tra sterpaglie e, ahimè, rifiuti vari e affondo i piedi nel terreno fangoso.
Lui è proprio davanti a me.

Più sotto, il ruscello che passa sotto l’arcata principale.
Davvero non te lo aspetti.
Bello, intatto, fiero e abbandonato al degrado.
Faceva parte dell’antica via Ostiense, la strada che raggiungeva Ostia, il centro commerciale portuale che per lungo tempo riforní Roma delle merci provenienti dall’Impero.
La strada attraversava diversi corsi d’acqua prossimi a confluire nel Tevere.
Uno di questi è il Fosso di Vallerano, pochi metri sotto di me, sopra il quale è costruito il ponte romano del II-III secolo A.C., oggi coperto dal soprastante viadotto in cemento armato che ne impedisce la visione suggestiva dell’antico lastricato.
La struttura presenta tre arcate, una maggiore, al centro e due minori, ai lati.

Mi avvicino, quasi lo tocco.
Se penso che sta là da ventitré secoli mi vengono i brividi.
Il terreno umido e la vegetazione mi ostacolano.
Torno indietro, salgo sulla strada, qualche passo e trovo un passaggio dall’altro lato.
Stavolta sono veramente vicino.
Posso ammirarlo da pochi centimetri di distanza, osservarne la perfezione dei particolari, immaginare il passaggio nei tempi antichi, sognare, come faccio sempre, di tornare indietro nel tempo.
Non posso stare molto.
Rumori sospetti mi ricordano che sono in un’area ricca di insediamenti abusivi e degrado.
Ritorno frettolosamente alla bicicletta non senza aver riempito lo stomaco di acqua fresca salvifica.

Proseguo sulla ciclabile che taglia rettilinea i campi e della quale, in un pomeriggio assolato e caldo, sono l’unico fruitore.
Qualche chilometro e poi convengo che sia giunta l’ora di tornare.
Mi aspetta una lunga strada di silenzio e solitudine.
Ma ho con me immagini meravigliose.
Non sono solo.
Non sei mai solo, a Roma.