Un gruppo di turisti tedeschi parla sottovoce nell’androne del palazzo. Una giovane signora guarda nervosamente al di là del portone in attesa dell’amica in ritardo. Un’altra, con un vistoso cappello, lancia distratte occhiate verso alcuni libri su Stendhal messi in bella mostra sulle pareti.
Io attendo e osservo il gruppo di tedeschi con seguito di figli piccoli che corrono qua e là vociando allegri. Finalmente, l’amica tanto attesa arriva ansimando. Un lungo abbraccio tra le due, con colonna sonora di scuse e descrizione da parte della ritardataria degli ostacoli che minavano il percorso per arrivare puntuale all’appuntamento, sancisce l’inizio della visita.
Saliamo tutti in fila indiana al terzo piano di palazzo Primoli seguendo la guida che ci accompagna. Qui, dal giugno 1995 è aperta al pubblico la Casa museo Mario Praz (1896-1982) celebre anglista, professore universitario, saggista, critico d’arte, traduttore, un museo vero o proprio di dieci ambienti dove sono disposti gli oltre 1.200 pezzi, tra dipinti, sculture, mobili ed arredi, quadri, tutti databili tra il XVIII e XIX secolo a comporre la raccolta dell’eclettico collezionista che ha acquistato questi oggetti sul mercato antiquario europeo in oltre sessant’anni, e accuratamente disposti negli ambienti in cui egli ha vissuto a Roma, prima nel grande appartamento di Palazzo Ricci in via Giulia, poi dal 1969 in Palazzo Primoli, dove è rimasto fino alla morte.
Attraverso una semplice porta, entriamo così in un mondo affascinante, fatto di mobili inglesi, i bronzi francesi, malachiti russe, cristalli boemi, porcellane tedesche, quadri con vedute di città italiane ed europee ei ritratti delle famiglie regnanti, dai Borbone ai Bonaparte, e quelli di tanti sconosciuti vissuti nel XIX secolo.
I bambini tedeschi ammutoliscono e vagano nelle stanze perdendosi tra gli oggetti più strani che attirano la loro attenzione, i genitori parlottano sottovoce, la signora col cappello sfiora con le dita le corde di un’arpa; la pelle diafana del volto, su cui stride l’esagerato rosso delle labbra, la fa sembrare parte della collezione, le due amiche si separano e si ricongiungono per discutere ora della stranezza, ora della bellezza di uno o dell’altro oggetto.
Mi soffermo su una parete dove sono esposte cartoline d’auguri su foglia d’oro mentre un’anatra, il becco di che pare di legno, mi osserva con occhi severi e già una lira, adagiata su un divanetto vellutato, ammicca verso di me come invitandomi a una carezza voluttuosa prima che la guida possa sorprenderci e rimproverarci.
È una visita breve, ma intensa. Uno di quei luoghi nascosti e poco conosciuti che trasudano sentimento, passione, amore. All’uscita, i turisti tedeschi mi salutano con la mano. Ricambio mentre la signora col cappello mi passa vicino quasi in punta di piedi, gli occhi semichiusi e una vaga aria bohemien che mi fa sorridere, seguita dalle due amiche a braccetto in continuo cinguettio sui problemi della vita moderna.
Sono l’ultimo ad allontanarmi. Felicemente appagato, ringrazio Mario Praz e Roma, città che sorprende sempre, donna di rara bellezza e impossibile, come un’antica lira ammiccante, distesa seminuda su un divano di velluto rosso.
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