Roma, la chiesa di San Nicola in Carcere: i segreti dei sotterranei
La Chiesa ha origini antichissime che risalgono al secolo XI, ma è stata modificata alla fine del XIV secolo ad opera di Giacomo della Porta
Tra le pendici del Campidoglio, il Teatro Marcello e l’antico Porto Tiberino (oggi vi sorge il Palazzo dell’Anagrafe), c’era un’area destinata al mercato della frutta, delle verdure e dei legumi.
Era il Foro Olitorio, una piccola piazza che risale all’età repubblica nella quale si ergevano tre templi, Giano, Speranza e Giunone Sospita poi trasformati in carcere durante il Medioevo, oggi ai lati e all’interno della Chiesa di San Nicola in Carcere. La Chiesa ha origini antichissime che risalgono al secolo XI, ma è stata modificata alla fine del XIV secolo ad opera del famoso architetto e scultore Giacomo della Porta, famoso, tra le tante opere eseguite a Roma, per ave completato la cupola di San Pietro alla morte di Michelangelo, suo grande maestro.
La magia del Tempio di Giunone Sopita
Dopo altre modifiche apportate alla seconda metà dell’800, fu definitivamente liberata dalle strutture che le soffocavano così da mettere in luce i resti dei templi romani. Alcune colonne del tempio dorico dedicato alla Speranza sono inglobate sul lato sinistro della Chiesa, altre, appartenenti a quello ionico dedicato a Giano bifronte, si trovano nel lato destro, uno dei tanti esempi di fusione tra paganesimo e cristianesimo che si possono osservare a Roma.
Ma la vera meraviglia è il tempio ionico dedicato a Giunone Sospita (protettrice delle nascite), il più grande dei tre, originariamente posto tra i due più piccoli, che giace sotto la Chiesa ed è visitabile pagando un biglietto di 4 euro all’ingresso. Eccomi, dunque varcare il piccolo cancello e scendere la scala che porta ai sotterranei.
Come tante altre volte, ho sempre l’impressione di volare all’indietro nel tempo e che ogni gradino sia un secolo della storia di questa città unica al mondo. Chiudo per un istante gli occhi e quando li riapro sono nella penombra di una cripta spoglia. Qualche passo e varco uno stretto passaggio che mi conduce ai resti del tempio. In pochi secondi ho compiuto un salto di duemila anni e, al pari di altre occasioni, provo un’emozione fortissima
Roma, l’immortale
Le luci soffuse contribuiscono a rendere l’atmosfera particolarmente suggestiva. Mi aggiro tra le rovine in assoluta solitudine ammirando scorci improvvisi tra soffitti che si abbassano improvvisamente, curve che rivelano altri passaggi, muri che sembrano bisbigliare, fruscii di vesti che scompaiono al di là di un arco o dietro i resti di una colonna.
E l’immaginazione corre, gioca con i tuoi pensieri, il tempo ti prende delicatamente per mano oscurando la contemporaneità che ti porti dietro e rivelando, come in una realtà virtuale, ciò che a Roma non muore mai e mai morirà: la sua storia. Infine torni al punto di partenza. Risali la scala del tempo. Alle tue spalle, bisbigli, vesti fruscianti, scompaiono.
Torni alla luce. È come morire e rinascere ogni volta. E ogni volta, un pezzo di te rimane là, dove il tuo respiro per qualche attimo infinito si è fuso con quello della città dall’eterna bellezza.