Roma, 13 ottobre 1667.
Papa Clemente IX Rospigliosi firma di suo pugno un documento che attesta una donazione per il suo cameriere segreto, tal Paolo Strada, quale compenso per averlo servito fedelmente per molti anni.
La cosa non risulterebbe particolarmente strana se non fosse che la suddetta donazione consiste in niente popò di meno che… acqua.
Sì, avete capito bene. Acqua.
Il dono del Papa
Precisamente, “tre once (circa 85 grammi) dell’Acqua Felice del ritorno delle fontane del nostro Giardino di Monte Cavallo per se, suoi heredi et successori“.
Paolo Strada, per ringraziare il Pontefice del prezioso regalo, decide di far costruire nel cortile del palazzo di sua proprietà una fontana corredata dello stemma del Papa.
E anche qui c’è una sorpresa.
È Gian Lorenzo Bernini l’autore della fontana, una meraviglia della quale molti ignorano l’esistenza e che oggi si trova all’interno di un cortile di un palazzo al n° 15 di via della Panetteria ed è visibile, anche se a distanza.
Ma andiamo per ordine.
Vengo a conoscenza di questa “cosa”, da un post su facebook di uno di tanti blogger che illustrano le bellezze di Roma.
Quasi incredulo, decido di andare a verificare.
Così mi dirigo in via della Panetteria in cerca di un ristorante con lo stesso nome della via, dal cui retro pare si abbia una visione ravvicinata di uno degli ultimi lavori a Roma del grande Bernini.
Via della Panetteria, a pochi passi da Via del Tritone, prende il nome dalla Panetteria Apostolica, il forno nel cortile del Palazzo della Panetteria che forniva il pane alla Famiglia Pontificia.
Al n° 14, ecco il locale.
Entro e chiedo a una gentilissima signora alla cassa di poter accedere al retro per poter vedere la fontana.
Lei acconsente con un gran sorriso e mi indica il percorso.
Imbocco un corridoio con i muri di pietra, passo vicino a un pianoforte, supero sedie e tavoli vuoti e mi avvicino a due grandi porte -finestra che danno su un cortile interno di un palazzo.
La fontana è proprio lì, a pochi metri da me.
È un’emozione fortissima.
Mentre sbircio col naso appiccicato al vetro, un cameriere mi si avvicina e sottovoce mi invita a recarmi velocemente al palazzo accanto al ristorante, al n° 15 dove c’è un portiere che “sta pe’ chiude. Se glielo chiedi, vedrai che te fa entrà…”
Non me lo faccio ripetere due volte.
Esco correndo, giro a sinistra; il n°15 è là, davanti a me e il portone è aperto.
Si tratta di Palazzo Antamoro, la dimora seicentesca di Paolo Strada, il famoso cameriere di Papa Clemente IX.
Un secolo dopo le vicende qui narrate, il palazzo passò alla famiglia degli Antamoro che apportarono parecchie modifiche, senza toccare la fontana.
Ed eccomi davanti al portone aperto.
Una luce fortissima proveniente da un lungo corridoio su cui soffitto pendono due lampadari di vetro mi investe costringendomi a socchiudere gli occhi.
Sembra quasi uno stratagemma voluto per prepararmi alla sorpresa.
Entro.
Un uomo mi viene incontro con aria interrogativa.
Suppongo sia il portiere dello stabile e gli chiedo se posso entrare.
Lui fa un cenno di assenso e mi invita con la mano a procedere.
Non sembra sorpreso della mia richiesta.
Proseguo ringraziandolo per la gentile concessione.
Arrivo a un cancelletto grigio in ferro battuto mentre il corridoio si apre in uno splendido cortile.
Lei, il capolavoro del Bernini, è lì, davanti a me.
Nessun ostacolo, nessuna finestra, nessun vetro a disturbarci mentre comincia un dialogo intimo e muto tra noi, fatto di sensazioni che vanno e vengono dall’uno all’altro come se non fossimo umano e pietra, ma umano e umano.
La fontana è collocata all’interno di un’arcata che forma una sorta di un antico ninfeo. Al centro di questo vi è una grande conchiglia a valve aperte, sorretta dalle code intrecciate dei due delfini sottostanti. Ai lati della conchiglia, due tritoni si appoggiano, uno con la mano sinistra e uno con la mano destra, allo stemma dei Conti Antamoro che, dopo l’acquisto del Palazzo, andò a sostituire quello di Papa Rospigliosi, mentre con l’altra mano libera impugnano due buccine su cui poggiano le labbra per soffiare e produrre musica. Originariamente, l’acqua veniva soffiata dai tritoni nella valva, da dove poi traboccava per andare a raccogliersi nell’ampia vasca inferiore.
L’opera fu completata in due anni, giusto in tempo per accogliere altre due once d’acqua donate da Clemente IX il 27 luglio 1.669.
Rimango qualche minuto in contemplazione di questo capolavoro di un uomo, un genio, uno dei tanti che hanno dato a Roma lustro e contributo alla sua eternità.
E mentre mi allontano, non posso non pensare a quanti segreti siano celati al di là di ogni portone di ogni Palazzo di ogni vicolo, di ogni strada, di ogni piazza, nei cortili, nei giardini, nei muri, perfino nei pavimenti delle case.
Il patrimonio artistico di questa città è infinito.
Avere la possibilità di scoprirlo, è il più grande regalo che Roma ci possa fare.
A noi il compito di amarlo, rispettarlo e preservarlo.
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