Roma, la nutria di piazza Cavour: l’ultimo avvistamento nel safari capitolino
La città è un ecosistema e non dimentichiamo che i più alienati dalla sua armonia siamo noi umani
Misteriose morie di storni, che quando non planano a terra morendo per lo schianto, adibiscono i pini sulla stazione termini, causando guano maleodorante e scivoloso; nutrie che passeggiano nelle vie del centro (ma attraversano civilmente sulle strisce pedonali), cinghiali che si corteggiano e accoppiano a piazza Mazzini, e i soliti gabbiani che predano piccioni accerchiandoli, corvi e cornacchie che bucano buste della spazzatura e ne rovesciano il contenuto: non è lo scenario apocalittico post-umano di un film statunitense né un bestiario medievale, ma la quotidianità faunistica nella capitale.
Roma, la nutria di piazza Cavour
L’ultimo avvistamento è la nutria di Piazza Cavour. La nutria, chiamata anche castorino è un mammifero roditore proveniente dal sud America. La lunghezza della testa e del corpo oscilla tra 43 e 63,5 cm, la lunghezza della coda tra 25,5 e 42,5 cm. I maschi sono solitamente più grandi delle femmine. E’ una specie semi-acquatica, notturna e serale. Diremmo noi che ama la vita mondana, ma i suoi aperitivi prevedono radici e tuberi.
E’ una Roma da Safari che fa ridere sui social. Infatti l’essere umano è l’unica creatura da noi conosciuta capace di fare quella complessa operazione di slittamento della logica chiamata ironia, il più sofisticato dei meccanismi di difesa spiega Freud ne Il motto di spirito.
La città è un ecosistema
Ma ricordiamoci che al di là dei facili scherzi, anche la città è un ecosistema, forse il più complesso in cui regno vegetale, animale e funghi devono trovare le migliori opportunità di sopravvivenza adattandosi alle bizzarre e invasive creature umane, le più dissociate e meno consapevoli dei loro effetti sulla vita collettiva interspecifica (cioè propria dei rapporti tra diverse specie).
Non dimentichiamo neppure che perfino ogni creatura è un habitat, nel nostro corpo vivono circa 30 trilioni di cellule e 39 trilioni di batteri (un trilione equivale a mille miliardi). Sulla nostra pelle ospitiamo il Demodex folliculorum, un mini aracnide che abita nei nostri pori e di notte esce per accoppiarsi. L’erotismo epidermico di un microscopico acaro, alzi la mano chi lo sapeva.
Uomo, animale bipede e ingrato
L’uomo inventa frigoriferi e la bomba atomica, ma è anche capace di dipingere i Girasoli di Van Gogh e di interrogarsi sul proprio scopo sulla terra. Gli animali seppur senzienti, non hanno il dovere etico di domandarsi se ciò che fanno è giusto, se ci sono stelle sopra di loro e leggi morali dentro di loro parafrasando Kant. “L’uomo è l’unico animale che arrossisce ed è l’unico ad averne bisogno”, scrive Mark Twain. L’uomo è l’unico animale che compie il male sapendo di farlo ed è anche l’unico che è chiamato a riflettere su questo, a farne dilemma, poesia, canzone.
L’essere umano al di là delle retoriche demonizzanti o celebrative è certamente la bestiola culturale più alienata dalle norme della vita comune con i propri simili e le altre specie animali e vegetali. Strana specie quella che sporca la propria cuccia e inquina la sua atmosfera. Forse la conseguenza penosa di quella rottura originale, di quella ferita di cui parlano le religioni e i miti. Forse a quel prezzo possiamo andare sulla Luna e possiamo leggere Sant’Agostino. Ne sarà valsa la pena?
Ecco perché l’umano è un talento della Creazione, è un paradosso dell’evoluzione, è forse un incidente della biologia. Sembriamo proprio corrispondere all’amara definizione che da di noi Dostoevskij in Memorie dal sottosuolo: “Uomo, animale bipede e ingrato”.
Mentre invece, la nutria di Prati, non solo obbedisce alla sua natura, osserva perfino il codice stradale.