Una delle illusioni ottiche più famose esistenti a Roma, è quella della visione dal buco della serratura della Villa del Priorato di Malta, sull’Aventino. Quando un parente o un amico viene a trovarci e gli facciamo fare il solito giro in città, per ammirarne le bellezze che la storia ci ha consegnato, ci scappa sempre un’improvvisa fermata in piazza dei Cavalieri di Malta.
Al civico numero 3 c’è un enorme portone. In realtà nella piazza c’è solo quel portone. L’amico non si rende conto di cosa stia per succedere. Il portone è chiuso e non si potrà certamente entrare. Allora noi ci abbassiamo e lo invitiamo a guardare dal buco della serratura. Un gesto quasi infantile, che ha del proibito.
Lui guarda e scopre, dritta davanti a sé, la Cupola di San Pietro, incorniciata dalle siepi del vialetto dei giardini del Priorato e incredibilmente la vedrà più vicina di quanto in realtà non possa essere. È un inganno prospettico voluto. Uno dei tanti cercati da pittori e architetti, per affascinare il visitatore, per impressionarlo. Un inganno come ce ne sono diversi a Roma, una frizzante scoperta per il turista inconsapevole.
Nel 1765 l’architetto Giovanni Battista Piranesi, su richiesta del Cardinal Rezzonico, dovette ristrutturare la villa che in origine era un monastero benedettino. Realizzò una piazzetta in stile rococò e la decorò con gli stemmi di famiglia e trofei di guerra, in onore dei Cavalieri di Malta. Non mancò di aggiungervi riferimenti ai simboli massonici, a riprova di quanto Massoneria e Chiesa, nella storia anche recente, non fossero, almeno segretamente, nemici.
È il nostro cervello che riconosce, combinato con la vista, in una realtà bidimensionale, la terza dimensione, quella della profondità. Lo fa per mezzo degli elementi presenti nella composizione dell’immagine. Questi elementi funzionano come indicatori della profondità o almeno noi li interpretiamo come tali. Sono per esempio la riduzione progressiva degli oggetti in base alla distanza. Siamo abituati a percepire vicina una immagine di una cosa grande e lontana invece quella che vediamo piccola. Due elementi uguali posti su due piani diversi di una immagine in prospettiva, vengono percepiti differenti con l’ingrandimento di quello più lontano e il rimpicciolimento di quello più vicino.
L’osservatore influisce sulla visione modificandola. Ogni visione non è un atto passivo. È una elaborazione del nostro cervello, legata ai suoi modelli di pregiudizio culturale. Quando guardiamo noi vediamo quello che il nostro cervello vuole vedere, è abituato a credere, vuole credere.
Questo concetto è noto da molti secoli e nonostante questo c’è ancora chi vuole sostenere che quanto si è visto sia reale. Più corretto sarebbe dire “è quello che mi è sembrato di vedere.” Quante volte invece ci è capitato di sostenere con forza che la cosa è andata come diciamo noi perché l’abbiamo vista. Se l’abbiamo vista non ci possiamo sbagliare.
“La credenza che la realtà che ognuno vede sia l’unica realtà è la più pericolosa di tutte le illusioni.” Lo hadetto lo psicologo americano di origine austriaca Paul Watzlawick, uno dei principali autori della Teoria della Comunicazione umana e del Costruttivismo radicale, oltre che uno Psicoterapeuta.
La cosa è ben nota a chi svolge indagini e interroga testimoni. Molto spesso le varie testimonianze di uno stesso accadimento, possono divergere per dettagli insignificanti, minimi, ma alla resa dei conti ciò potrebbe inficiare del tutto le testimonianze stesse.
Il buon Akiro Kurosawa con il film Rashomon, affrontò il tema delle differenti verità già nel 1950. Lo stesso accadimento risultava differente a seconda del punto di vista del narratore. Siamo noi che influenziamo la realtà e non viceversa.
In un film più recente (1999) che fece scalpore, Matrix, ad un certo punto Morpheus diceva: “Che vuol dire reale? Dammi una definizione di reale. Se ti riferisci a quello che percepiamo, a quello che possiamo odorare, toccare e vedere, quel reale sono semplici segnali elettrici interpretati dal cervello. Questo è il mondo che tu conosci.” Alla fine bisogna ammettere che la realtà oggettiva è per noi inaccessibile. Tutto ciò che noi esperiamo è frutto dell’elaborazione del nostro cervello.
Vedi alle volte dove ti può condurre guardare da un buco della serratura!
La mente umana tende a semplificare ciò che vede e quando non riesce a capire rende tutto magico, soprannaturale, divino. Non è un miracolo della fede quello che accade, quando transitate per errore o per il solito giro con il parente che lo sa, in via Piccolomini, nei pressi del Gianicolo, nel quartiere Aurelio. La via si trova in posizione sopraelevata e da lì, la visione del Cupolone ha una dimensione magica, irreale. Appare enorme quando vi trovate all’inizio della passeggiata, arrivando da via Leone XIII, e potreste quasi toccarla.
Man mano che vi avvicinate invece la vedete allontanarsi e rimpicciolirsi. Si tratta di un nuovo effetto ottico, una illusione divertente, dovuta alla disposizione degli edifici sulla strada. Come nel giardino del Priorato di Malta le siepi rendevano grande la Cupola, qui lo fanno le case ai lati della strada. Proseguendo lungo la via si inizia a vedere lo sfondo, il panorama attorno alla basilica e il cambio di prospettiva confonde l’occhio umano, creando questo particolare effetto in cui si ha la percezione di vedere la Cupola di San Pietro allontanarsi.
L’effetto funziona anche se siete in auto ma certamente ve lo potrete godere meglio se percorrerete la via a piedi. In fondo sono solo 300 metri. Si consiglia visitare il luogo all’alba o al tramonto per godere dei colori straordinari del cielo, specie se siamo in un giorno limpido di primavera o d’autunno.
Lo sviluppo della teoria della prospettiva si deve agli studi di Leon Battista Alberti, di Piero della Francesca e di Leonardo da Vinci già nel ‘400. Torniamo sempre agli stessi, ci avete fatto caso?
Poi sono sopraggiunti gli studi degli architetti Sebastiano Serlio e Iacopo Barozzi (meglio noto come Il Vignola) che applicarono quegli studi sulla prospettiva lineare nei loro disegni e nelle loro opere. In seguito se ne sono appropriati i matematici, facendo di un’arte una scienza.
Con il settecento e l’ottocento la prospettiva trovò applicazioni in alcuni macchinari come i prospettografi e le camere oscure, da cui è nata la macchina fotografica, fino al Novecento in cui è stata utilizzata per altre finalità espressive e nella computer grafica.
Non si deve quindi al genio indiscutibile di Filippo Brunelleschi, come dice la leggenda, l’invenzione della costruzione legittima, ovvero il metodo prospettico, nel 1420. Il termine appartiene a uno storico: Heinrich Ludwig che nel 1882 scrisse un Trattato sulla pittura di Leonardo. In altre parole non fu l’invenzione del solito genio italico in un giorno fortunato, ma un processo di circa due secoli di studi di artisti, filosofi e scienziati.
Con gli studi abbiamo capito che il nostro cervello accetta a fatica di essere ingannato dalla nostra stessa percezione, dalle illusioni ottiche.
Il fatto è che sono meccanismi radicati nella nostra mente. Noi vediamo ciò che abbiamo imparato a vedere. Così si formano, anche per altre questioni, i cosiddetti pre-giudizi. Se le immagini, o in altro ambito, i concetti che ascoltiamo, violano i nostri pregiudizi, noi non li accettiamo.
Dobbiamo fare uno sforzo ulteriore per comprendere che siamo stati ingannati, non da quello che abbiamo visto o ascoltato, ma dal nostro pregiudizio. Questi meccanismi sono anche alla base degli studi per influenzare le opinioni e il desiderio di acquisto di potenziali clienti, da parte di società che si propongono di indirizzare le decisioni, commerciali o politiche, degli utenti dei social network.
In genere si assecondano i pregiudizi, guidando la persona verso gli obbiettivi scelti, attraverso notizie vere e false che lo possano attirare e convincere.
Molti conoscono le illusioni ottiche di Escher, famoso artista austriaco, che ci ha lasciato giochi prospettici impossibili, irreali, che pure il nostro cervello fatica a vedere in quanto tali. Scale che salgono si uniscono ad altre che scendono in un labirinto dal quale è impossibile uscire, eppure ci appare credibile, realistico.
Vittima della nostra illusione ottica è la classica foto dell’amico o del nostro partner, che con una mano sostiene la Torre di Pisa, che sembra cadergli addosso. Chiunque vada in Piazza dei Miracoli si vuole scattare quella foto. Sappiamo che non è così, che la Torre è più lontana dell’amico ma l’effetto fotografico è impressionante e se non conoscessimo quella piazza potremmo anche sostenere che la foto è vera.
Un classico esempio di barocco italiano è la Chiesa di Sant’Ignazio di Loyola, in via della Caravita, non distante dal Pantheon. Sant’Ignazio era il fondatore della Compagnia di Gesù, i Gesuiti, di cui ha fatto parte anche Papa Francesco. Venne deciso nel 1685 di costruire una chiesa più grande perché quella dedicata all’Annunziata non riusciva a contenere i fedeli.
Allora le chiese erano molto frequentate, non so se più per fede o per paura. La Compagnia si accorse che mancavano i fondi per costruire la cupola e allora il gesuita pittore austriaco (perché nato a Trento), Andrea del Pozzo, ebbe la geniale idea di realizzare un trompe-l’oeil (inganna l’occhio), una finta architettura.
Il pittore spostò il punto di fuga del dipinto della cupola di 13 metri di diametro, verso la volta della navata, dove c’era l’affresco di Sant’Ignazio. L’immagine del santo appare più grande per via dell’effetto di sfondamento del soffitto.
A prima vista vedi una cupola dal di sotto. Spostandoti dal tondo dorato posto nel marmo del pavimento, su posizioni laterali, ti rendi conto dell’inganno della pittura, altrimenti giureresti che la cupola c’è. Dallo stesso cerchio dorato, possiamo godere di un altro effetto ottico voluto dal pittore Andrea del Pozzo.
Gli affreschi dipinti intorno alle pareti della costruzione, presentano un artificio prospettico, danno l’idea di un tempio costruito sopra la chiesa stessa. Come modanature dipinte, colonne e figure che sembrano essere in piedi sui bordi della cupola.
Un altro effetto ottico molto famoso e molto affascinante si trova dentro Palazzo Spada-Capodiferro. Siamo vicini a Campo de’ Fiori, in piazza Capodiferro, un palazzo costruito a cavallo tra Rinascimento e Barocco, come stili architettonici.
Venne acquistato nel 1632 dal Cardinale Bernardino Spada, un ecclesiastico che mostrava grande interesse per i giochi prospettici. Fu per questo che chiamò Francesco Borromini a modificare gli interni del palazzo secondo i nuovi gusti dell’epoca.
Si tratta dell’androne di accesso al cortile, un corridoio colonnato di 8,82 metri di lunghezza. La realizzazione è datata 1652-1653. Grazie ad alcuni accorgimenti prospettici quel corridoio sembra misurare 35 metri non quasi 9. Com’è possibile?
Borromini si fece aiutare da un matematico agostiniano, Padre Giovanni Maria da Bitonto, per calcolare i motivi prospettici che avrebbero creato l’illusione della prospettiva forzata.
Questa è dovuta al fatto che i piani convergono in un unico punto di fuga. Così, mentre il soffitto scende dall’alto verso il basso e il pavimento di mosaico sale, le colonne diminuiscono man mano che si avvicinano al fondo. Anticamente, sul fondale era disegnato un finto disegno vegetale, che accentuava il senso prospettico. Oggi invece si vede il calco di una statua di guerriero in epoca romana, di soli 60 cm di altezza.
Così anche la statua contribuisce a rafforzare l’effetto. Quest’opera di pura illusione ottica testimonia gli interessi del committente Bernardino Spada, che probabilmente attribuiva a questa galleria il significato dell’inganno morale e dell’illusione delle grandezze terrene.
La galleria di Palazzo Spada, teatro di una splendida scena del film La grande bellezza, del regista Paolo Sorrentino, attrae centinaia di visitatori, spinti dal desiderio di vedere uno dei giochi di prospettiva più riusciti della storia.
In Piazza San Pietro c’è forse uno degli effetti ottici più ammirarti della Capitale. Riguarda il colonnato antistante la Basilica, quello che virtualmente abbraccia i fedeli accogliendoli nella piazza. Il colonnato è stato progettato da uno dei massimi maestri del barocco, Gian Lorenzo Bernini.
Venne terminato nel 1667, è lungo 320 metri ed è sormontato da 140 statue. Mediante la sua particolare tecnica architettonica, Bernini riesce a creare un’illusione ottica di profondità, altezze e distanze. Le 284 colonne, su quattro file, sopra ciascuna delle quali è posta la statua di un Santo o di un Papa, vengono disposte creando un senso di movimento che attira lo sguardo dello spettatore verso il centro del colonnato.
Se ci cammini in mezzo hai la sensazione di un labirinto e ti rendi conto che le colonne tra loro non sono equidistanti. Ai bordi esterni del colonnato sono più vicine di quelle al centro. Questo accorgimento fa apparire il colonnato più lungo di quanto in realtà non sia.
Si chiama prospettiva forzata e viene usata tanto in architettura come in fotografia proprio per dare questa illusione ottica di profondità e lunghezza. Se osserviamo le colonne da uno dei due dischi di pietra, posti al centro della piazza, ai lati dell’obelisco, dove si legge l’incisione “Centro del Colonnato”, le quattro file scompaiono e se ne vede solo una.
Questo perché l’allineamento delle colonne degli emicicli è calcolato sui raggi dell’ellisse, il cui centro è indicato appunto sulle piastrelle rotonde poste sul pavimento della piazza. Matematicamente si fa presto a capirlo ma a realizzarlo? Non è una cosa geniale?
Un’altra illusione ottica è quello dalla curvatura delle colonne. Se viste da certe angolazioni, sembrano essere perfettamente diritte, ma da altre, sembrano curve. Quest’effetto è noto come entasi, ed è intenzionale, in quanto conferisce al colonnato un senso di dinamismo e vitalità. Oltre a ciò, in tal modo le colonne della porta principale sembrano di colore diverso!
Infine pensate che all’epoca della realizzazione del colonnato e dei suoi effetti ottici, alla piazza si accedeva da un dedalo di viuzze del quartiere Spina di Borgo. Questo dava ancora di più un senso di meraviglia al visitatore che d’un tratto, usciva dai vicoli di Roma per trovarsi in questa piazza sconfinata. Verso la fine degli anni ’30 Mussolini fece radere al suolo quelle case, abitate per lo più dal popolino romano, per costruire via della Conciliazione, perdendo l’effetto meraviglia dei visitatori del passato.
Se San Pietro è quella che accoglie i fedeli della Chiesa, Piazza del Popolo, a ragione del suo nome, è invece la piazza laica, che accoglie i manifestanti nelle giornate di sciopero o nel corso dei comizi elettorali o sindacali. Certamente è una delle più belle piazze di Roma, sulla quale si affaccia la terrazza del Pincio.
A Piazza del Popolo in pochi metri s’incontrano elementi simbolo di tutta la storia della città.
Al centro la Fontana dei Leoni, dell’architetto Giuseppe Valadier, che ospita l’obelisco Flaminio di 24 metri. Il primo ad arrivare a Roma dall’Egitto, appena conquistato dall’imperatore Augusto. Venne collocato al Circo Massimo, poi nel 1589 il papa Sisto V lo volle mettere al centro della piazza dove ancora si trova.
Accanto alla Porta Flaminia, che si apre sulle mura cittadine, sorge la Basilica di Santa Maria del Popolo, che ospita la Cappella Chigi, realizzata dal Bernini nel 1656, su progetto di Raffaello. La Cappella Cerasi che ospita la Crocefissione di San Pietro e la Conversione di San Paolo del Caravaggio, la pala d’altare raffigurante la l’Assunzione della Vergine di Annibale Carracci, la Cappella del Presepio dell’architetto Andrea Bregno, decorata con affreschi attribuiti al Pinturicchio. La Basilica sorge sul Colle degli Ortuli, dove si dice vi sia la tomba maledetta di Nerone, morto suicida dopo l’incendio della città.
Sul lato opposto vi sono le due chiese gemelle. Santa Maria in Montesanto, detta anche la Chiesa degli Artisti, dove si svolgono spesso i funerali di personaggi importanti dello spettacolo. L’altra invece è Santa Maria dei Miracoli. Sono state progettate da Carlo Rainaldi e completate da Gian Lorenzo Bernini e Carlo Fontana nel 1656. Le chiese dividono via del Corso dalle altre due strade via del Babuino e via di Ripetta, all’inizio delle quali si trovano due caffè storici della Capitale, a sinistra Canova e di fronte Rosati. Punto di incontro per turisti e residenti, per innamorati e uomini d’affari e di spettacolo.
Erano spesso clienti di questi caffè personaggi come Trilussa, Guttuso e Pasolini. Fino al XIX secolo, la piazza era uno dei luoghi dove si svolgevano le esecuzioni capitali per mano del famoso boia Mastro Titta. Come ricordato da una lapide apposta nel 1909, qui furono ghigliottinati i due carbonari Angelo Targhini e Leonida Montanari. In pochi metri la storia di Roma dalla conquista dell’Egitto ai giorni nostri.
Dopo aver vissuto tanta Arte e Storia e provato tanti effetti ottici c’è da provarne uno diverso. Sul lato opposto alla terrazza del Pincio c’è un muro a forma di emiciclo. Una volta era occupato da un oppressivo parcheggio d’auto.
Adesso ci staziona un furgone della Polizia per eventuali interventi di sicurezza. Quel muro, per la sua strana forma, ci dà l’opportunità di un incredibile effetto sonoro.
Basta che due persone si dispongano alle due estremità della parete, poggiando l’orecchio sopra le pietre. Uno dei due dovrebbe bisbigliare delle parole verso il muro. Il risultato è che l’altro, posto a centinaia di metri di distanza, sentirà chiaramente la voce parlare al suo orecchio, come se i due fossero vicini. L’effetto si spiega con la forma emiciclica del muro, in grado di far viaggiare le onde sonore da un punto all’altro.
Roma non c’inganna ma certamente è in grado di sorprenderci, non solo con le sue bellezze ma anche con le sue curiosità, che la rendono sempre un luogo interessante e piacevole da scoprire.
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