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Roma-Liverpool, il laziale che per le finte di Globbelaar ha tifato Roma

Questa sera allo stadio Olimpico si ripete una partita che ricorda a tutti i tifosi della Roma e non solo, quella sfida che ben 35 anni fa le stesse due squadre, Roma e Liverpool, disputarono proprio nella capitale in quella che all’epoca si chiamava “Coppa dei Campioni”. Una finale che non so quanti milioni di telespettatori fece, ma credo fosse un record di ascolti. Era il 31 maggio del 1983. Non avevo ancora compiuto 12 anni e mi misi davanti alla televisione non certo per tifare la Roma. Ci tengo a precisare che io sono nato laziale, in una famiglia biancoceleste e lo dico con il vanto del tifoso autentico. Insomma in casa mia la Roma non viene quasi mai nominata. Certamente, ricordando quel giorno non si può non ricordare cosa era il calcio 35 anni fa. Diciamo che nel 1983 qualche morto da stadio c’era già stato e 4 anni prima in un derby, accidentalmente moriva Vincenzo Paparelli, quindi il calcio aveva iniziato la sua parabola discendente fatta di violenza, tifosi politicizzati e tutto quel mondo macroeconomico che ha finito per rovinare questo sport, per capirci, non si parlava né di borsa né di plusvalenze.

Ancora negli anni 80’ il calcio lo si viveva con una certa goliardia, e i fatti di violenza venivano evidenziati come fenomeni accidentali non direttamente causati dai tifosi ma da semplici infiltrati delinquenti domenicali. I giorni che precedettero la finale tra Roma e Liverpool furono giorni di festa in città, bandiere con su scritto "Roma campione d’Europa", oppure i simpatici necrologi dove veniva celebrata la scomparsa prematura della squadra inglese. Insomma i romanisti erano convinti che quella coppa sarebbe rimasta a Roma. Il Liverpool non lo conoscevo bene anche perché il calcio straniero non lo trattava nessuno, tranne qualche programma nelle tv locali ma prevalentemente calcio brasiliano. La Roma invece la conoscevo bene anche perché l’anno precedente aveva vinto il campionato.

Era una bellissima squadra bisogna riconoscerlo con uno straordinario fuoriclasse, Falcao. Quella sera del 31 maggio ricordo benissimo cosa stavo facendo e dove. Ai piedi del letto matrimoniale, in camera dei miei genitori nell’ attesa di gustarmi la disfatta giallorossa che mi avrebbe consentito di passare l’ultimo mese di scuola a prendere per il naso i miei compagni di classe che parteggiavano per i giallorossi. Non ricordo nulla della partita ma ricordo che esultai al vantaggio della squadra inglese e mi arrabbiai di brutto al pareggio di testa di Pruzzo. Il tempo regolamentare fini 1-1. Dovevamo assistere alla lotteria dei calci di rigore che quella sera non risparmiò sorprese. In questi casi a battere i rigori sono sempre i calciatori più rappresentativi ma nella lista dei battitori della Roma non compare proprio il brasiliano della Roma, che con i suoi colpi geniali aveva contribuito non poco al raggiungimento della finale.

Insomma alla fine di una serata calcistica non proprio rilassante mi accingevo a gustarmi i tiri dagli undici metri con l’incedere curioso del bambino che scarta le caramelle. La tensione era palpabile, i cugini stavano per raggiungere un traguardo che avrebbe cambiato la loro storia e la mia preoccupazione era alle stelle. Chi avrebbe potuto sopportare una Roma che era già imbandierata e che non aspettava altro che uscire e festeggiare nelle piazze. Già mi vedevo i muri pitturati di giallorosso , fontane verniciate e tutto il resto. Si perché i romanisti quando festeggiano, quelle rare volte che lo hanno fatto, non hanno badato a spese. Insomma quella sera davanti alla tivù mi stava passando tutta la vita davanti e a mani giunte tifano in maniera ormai smaccata per i Reds. In una atmosfera surreale ad un certo punto accade qualcosa di calcisticamente molto scorretto che mi fece montare una rabbia che ancora mi portò dentro e che cambiò in me per sempre il giudizio nei confronti delle squadre inglesi.

Qualcuno ricorderà che nel momento dei calci di rigore di quella partita, nella fase più drammatica vissuta dai giocatori in campo che non sono riusciti a superarsi nel tempo regolamentare, il portiere del Liverpool Grobbelaar cominciò una stranissima danza per schernire gli avversari e irridere i tifosi. Un movimento simile allo zombie con le braccia tutte abbassate verso le ginocchia e un finto tremolio alle gambe. Sembrava per un primo momento una cosa goliardica ma solo per qualche istante. Poi ha cominciato a farmi un po’ rabbia. Intanto io da laziale non gradivo che un calciatore straniero, completamente ignaro di cosa sia lo sfottò in questa città, si arrogasse il diritto di prendere in giro una tifoseria senza conoscere la storia e quindi senza alcuna motivazione. Tra laziali e romanisti ci si sfotte da una vita e guai se non fosse così, perché noi ci conosciamo e ci riconosciamo nelle nostre assurde contraddizioni che incarnano le contraddizioni della città stessa. Il portiere del Liverpool come si permette?

Voi non ci crederete ma dal momento dei calci di rigore cominciai a fare un tifo sfegatato per la Roma. Avrei desiderato che vincesse per darla in barba a questi inglesi convinti di essere superiori. E più l’estremo difensore avversario continuava la sua stravagante presa in giro e più saliva il mio tifo per la Roma. Sono passati 35 anni e posso dire di essere stato romanista per un quarto d’ora… Poi mi sono ripreso. La Roma non riuscì a vincere e la delusione era cocente. Io non trovai la forza di esultare e passai i giorni successivi a consolare i miei amici della Roma. Da laziale non potevo ammettere di aver tifato per loro ma grazie a questo nuovo duello oggi ho deciso di fare “outing “e raccontare questa storia. Questa sera vedrò la partita cercando di essere più neutrale possibile. Sono curioso di vedere quali saranno le mie reazioni dopo 35 anni. Forse guferò o forse no. Una cosa è certa ed è una fortuna, in porta non c’è Grobbelaar…

 

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Redazione

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