Roma, operazione della Gdf contro reati fiscali

9 arresti, 72 denunce e 82 imprese coinvolte. Sequestrati beni per 154 mln, 1 mld di imponibile evaso

I Finanzieri del Comando Provinciale di Roma hanno eseguito questa mattina, dando corso a 18 perquisizioni domiciliari in provincia di Roma, Genova, Novara, Crotone e Cuneo, 9 misure di custodia cautelare, di cui 6 in carcere e 3 agli arresti domiciliari – disposte dal Giudice delle Indagini Preliminari del Tribunale di Roma su richiesta della locale Procura della Repubblica – nei confronti di alcuni imprenditori.

Tra gli arrestati figura anche il noto faccendiere Paolo Oliverio, già tratto in arresto, sempre dalle Fiamme Gialle, nelle scorse settimane e tuttora detenuto presso il carcere romano di Regina Coeli, nell’ ambito dell’indagine che ha coinvolto, tra gli altri, padre Renato Salvatore, Superiore Generale dell’Ordine religioso dei Camilliani.

Contestualmente, militari del II Gruppo del Nucleo di Polizia Tributaria di Roma hanno sequestrato beni sino a concorrenza del valore di 154 milioni di euro a carico di 13 persone (tra cui due commercialisti), apponendo sigilli a 54 immobili, ubicati a Roma e provincia (tra cui un’ampia villa, di assoluto pregio, ad Albano Laziale, su 3 piani, di 14 vani per circa 500 mq, con annesso giardino di circa 2.500 mq, prospiciente al lago di Castel Gandolfo), a Milano, in provincia di Perugia, Viterbo, Latina ed in Toscana, sul Monte Argentario.

Molte delle citate unità abitative erano formalmente intestate ad una società "cassaforte", L’Ermitage s.r.l. (da cui il nome dell’operazione), fusasi poi, per incorporazione, in una società anonima svizzera, nell’ ottica di schermare la titolarità effettiva dei beni. Sequestrate anche auto, moto, quadri (alcuni di autori famosi quali Mario Schifano e Fernandes Armann), ulteriori beni mobili di valore, nonché un’imbarcazione a vela di circa 15 metri e cospicue disponibilità finanziarie.

Le misure cautelari ed i provvedimenti ablatori traggono origine da complesse indagini – nell’ ambito delle quali erano state già effettuate, nel dicembre 2012, 44 perquisizioni presso le sedi legali e le unità operative di società nonché le abitazioni di indagati – che hanno portato alla denuncia di 33 persone, con il coinvolgimento di 32 società, facendo emergere un collaudato e gigantesco sistema di false fatture, emesse da imprese operanti nel settore dell’informatica e della gestione dei call center, che hanno sottratto al Fisco materia imponibile quantificata, inizialmente, in circa 570 milioni di euro, con un’effettiva evasione d’imposta, ai fini imposte dirette ed iva, stimata in circa 154 milioni di euro.

Gli ulteriori sviluppi investigativi – posti in essere successivamente alla richiesta di adozione delle misure cautelari oggi eseguite – hanno consentito di segnalare all’ Autorità Giudiziaria le responsabilità penali di altre 46 persone fisiche e di 50 società che risultano aver beneficiato del sistema di false fatture: tra queste, vanno menzionate dodici società vincitrici di appalti pubblici, società beneficiarie di finanziamenti comunitari, importanti imprese leader nel settore informatico.

I reati ipotizzati a carico delle 79 persone fisiche denunciate – tra cui 5 titolari di studi commercialisti – vanno dall’ emissione ed utilizzo di fatture false all’ occultamento di scritture contabili, all’ omessa dichiarazione dei redditi ed iva, con l’aggravante della transnazionalità, alla sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte, al millantato credito, al riciclaggio, alla bancarotta fraudolenta patrimoniale. Nei confronti di 11 soggetti è contestata pure l’associazione a delinquere.

Nel complesso, le 82 società coinvolte (di cui 3 inglesi, 1 lussemburghese e 4 panamensi) hanno sottratto al Fisco materia imponibile ad oggi stimata in oltre 1 miliardo di euro, con un’effettiva evasione d’imposta, ai fini imposte dirette e dell’IVA, quantificata in circa 500 milioni di euro, negli anni dal 2006 al 2013.
Le indagini, in particolare, hanno preso avvio da una verifica fiscale nei confronti di una società operante nel settore informatico ed hanno fatto emergere l’esistenza di una collaudata organizzazione, articolata su vari livelli, operante in diversi settori economici, di fatto costituente un vero e proprio "gruppo societario", riconducibile ad un unico dominus, Giovanni Mola, destinatario oggi di ordinanza di custodia cautelare in carcere, tuttora residente in Italia ma con rilevanti interessi economici anche in territorio svizzero, ove ha avuto la disponibilità di conti correnti monegaschi e svizzeri, fittiziamente intestati a società off – shore, su cui sono transitate somme pari a circa 110 milioni di euro.

Mola – che aveva l’hobby di organizzare e partecipare esposizioni, in vari Paesi del mondo, di moto d’epoca di valore – è risultato disporre, in aggiunta, di alcuni bond emessi da società di diritto britannico, per un valore di circa 80 milioni di euro. Le attività dei finanzieri hanno consentito di censire, all’interno del menzionato gruppo societario riconducibile di fatto a Mola (che non vi appariva formalmente), ben 32 imprese: alcune erano "scatole completamente vuote", costituite al solo fine di emettere false fatture; altre società sono risultate, invece, aver assunto anche centinaia di dipendenti (per poi cessare, riassumendo le medesime risorse in altre società, dalla differente denominazione) che venivano posti a disposizione – previa formalizzazione di contratti di servizi, con la corresponsione di ingenti corrispettivi – di ulteriori imprese, questa volta "terze", cioè estranee al perimetro societario facente capo a Mola, spesso, come accennato, aggiudicatarie di appalti pubblici. Tali società beneficiavano di fatture totalmente fittizie o recanti corrispettivi sovradimensionati, emesse dalle imprese del Mola, cui faceva seguito la restituzione, in nero, di una frazione dell’imponibile, che veniva “spartita” tra lo stesso Mola ed i referenti delle stesse società terze beneficiarie, secondo un prefissato accordo tra le parti: il sistema consentiva alle società "terze" di abbattere il proprio reddito con fatture di acquisto "gonfiate" e di risultare (ingiustificatamente) competitive sul mercato.

Al pari, i ricavi connessi alla somministrazione di manodopera da parte delle società del Mola venivano abbattuti da costi documentati da fatture altrettanto fittizie e gli oneri contributivi ed assistenziali del personale formalmente assunto erano assolti utilizzando, in compensazione, indebiti crediti iva, artatamente costituiti attraverso, appunto, le false fatturazioni.
Nel complesso, è stato documentato il ricorso a circa 1,3 miliardi di falsi documenti contabili; le dinamiche fraudolente, peraltro, sono state rese più complesse dall’ utilizzo, da parte dell’organizzazione criminale, di società falsamente allocate all’ estero (spesso in Gran Bretagna), con personale in loco pienamente organico al sistema di frode, con il compito di riciclarne i proventi.

Le investigazioni hanno permesso, altresì, di fare piena luce anche sul ruolo di primissimo piano svolto dal faccendiere Paolo Oliverio, che si era inserito nel contesto associativo orchestrato da Mola, sia in ragione della sua vantata capacità di risolvere, con modalità illecite, problematiche varie connesse ad alcuni intervenuti accertamenti tributari che quale materiale organizzatore dell’occultamento della documentazione contabile delle società del gruppo.

Oliverio inoltre, risulta aver fornito un contributo essenziale al fine di ostacolare le azioni di recupero erariale, anche in pregiudizio dei creditori, acquistando, ad esempio, nel settembre 2012, un immobile di proprietà di una società riconducibile a Mola, dichiarata fallita dopo soli due mesi.

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