Martello e chiodi alla mano (in senso figurato, si intende) e fissiamo tre punti essenziali. Senza i quali non è possibile imbastire nessun ragionamento degno di tal nome.
Il primo è che Matteo Salvini continua a rafforzarsi.
Il secondo è che questa ascesa è tutt’altro che un caso.
Il terzo è che chiunque voglia parlarne sul serio deve capire bene quali sono le idee, e le emozioni, che si stanno muovendo. Perché queste ideemozioni sono potenti, e radicate in profondità, e inconciliabili con la paccottiglia fintobuonista in stile PD.
Il filo conduttore è un convincimento diffuso. O persino dilagante. È il convincimento, di per sé sacrosanto, che alle classi dirigenti in stile Juncker, e Napolitano, e Gentiloni, della popolazione in carne e ossa non gliene freghi assolutamente nulla. Se non per mantenerla al servizio dei loro piani di egemonia economico-burocratica.
Su questa percezione, a meno di essere del tutto ottusi o addirittura conniventi con quei disegni, è impossibile dissentire. L’atteggiamento di quel tipo di personaggi – di cui Mario Monti e la Fornero furono gli esempi più smaccati – si riassume in due frasi: voi non capite e noi sì; quindi noi dobbiamo decidere e voi dovete ubbidire. Poi, a seguire, si sono le conseguenze pratiche: oltre a ubbidire lo dovete fare di buon grado, lavorando sodo e senza rivendicare chissà quali diritti, di retribuzione o di pensione o altro. Se ci saranno i soldi per pagarvi decentemente, bene. Se non ci saranno, amen. E dunque state zitti e dateci dentro. E diteci pure grazie che non vi facciamo fare la fine della Grecia.
C’è da sorprendersi, allora, che dai e dai un sacco di persone si siano rotte i coglioni e stiano rialzando la testa?
Matteo Salvini è in sintonia con questo risveglio. E quando diciamo ‘in sintonia’ vogliamo dire, anzi sottolineare, che il legame è molto più istintivo che concettuale. È un incontro reciproco e appassionato. È identitario. E in questa chiave, avendo ormai accantonato le vecchie istanze secessioniste e padane, si riallaccia alla Lega Nord di Umberto Bossi.
Per rimanere sulla metafora militare, o sportiva, l’appellativo di ‘Capitano’ fa pensare a uno che non osserva dall’esterno le battaglie dei suoi ma è lì a combatterle con loro. In attesa, se le cose andranno per il meglio, di stringersi l’un l’altro nello stesso abbraccio.
Nel quadro attuale della politica italiana, dove Luigi Di Maio è certamente bravo ma risente non poco del fatto che continua a sembrare lo junior manager della Casaleggio e Associati, si tratta in assoluto del leader che dà maggiormente l’impressione di essere pienamente convinto di ciò che afferma. Mentre Renzi, ad esempio, si porta appresso quella sua aria furbetta e ammiccante – da democristiano 2.0 che, per quanto aggiornato e ‘smart’, sempre democristiano rimane – Salvini appare molto più schietto. Se invoca le ruspe è perché ci crede davvero. Se afferma il diritto a difendersi dai ladri armi in pugno è perché la pensa così. Se fa di tutto per fermare gli sbarchi dei clandestini, è perché non ne può più dell’invasione strisciante con la benedizione delle Boldrini di turno.
Che poi tutto questo abbia anche una funzione propagandistica, ed è chiaro che ce l’ha, non basta a far concludere che siano solo chiacchiere di facciata. I limiti di Salvini sono altri, e affondano nel suo aderire comunque a un’idea di economia liberista, incentrata sulla crescita del Pil e sullo sviluppo infinito a suon di Tav, ma se non altro sostiene che questa corsa la vogliamo fare a modo nostro. Rimanendo legati alla nostra storia e alle nostre usanze, che non devono piacere agli stranieri – acciocché si sentano più benvoluti e si possano integrare più volentieri – ma a noi stessi.
Come ha detto ieri Giancarlo Giorgetti, sottosegretario leghista alla Presidenza del Consiglio e a sua volta sul palco di Piazza del Popolo, “Non può esistere un governo che ha la fiducia dei mercati, ma non del popolo”. Esatto. La vera domanda non è come si fa a rimanere dentro il perimetro degli Accordi di Maastricht o del Trattato di Lisbona, ma perché ci siamo lasciati rinchiudere in quelle gabbie.
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