L’identità del presunto assassino è stato trovato ancora prima dell’identità delle vittime. E’ certamente un caso raro quello del triplice omicidio compiuto nel quartiere Prati a Roma dove, giovedì scorso, tre donne sono state uccise a coltellate all’interno dei due appartamenti in cui si prostituivano in via Riboty e in via Durazzo.
Gli investigatori sono convinti che ad ucciderle sia stato il 51enne Giandavide De Pau; hanno anche stabilito, non senza difficoltà, l’identità della 65enne Marta Castano Torres, uccisa nell’appartamento di via Durazzo. Poco o nulla si sa, invece, delle due donne asiatiche trovate morte nell’appartamento di via Riboty. Nessun documento sarebbe stato trovato così come nessuno ha rivendicato i loro corpi che restano conservati nell’obitorio giudiziario in attesa di autopsia. Si apprende che, nelle ultime ore, è stata parzialmente identificata una delle due donne ancora senza nome, o quantomeno, è stato possibile confermare che fosse di nazionalità cinese e questa, fino ad oggi era solo una ipotesi formulata in base all’aspetto fisico delle vittime e alle dichiarazioni di testimoni.
Una vicenda, che ha aperto uno squarcio su un fenomeno, quello della prostituzione che permette ad organizzazioni malavitose di fare soldi grazie allo sfruttamento di “fantasmi”: donne private “non solo della libertà ma addirittura dell’identità”.
Lo dichiara ad “Agenzia Nova” un investigatore che in maniera anonima racconta la sua esperienza nel contrastare il fenomeno. L’indagine, in corso è resa complicata anche “dall’omertà nell’ambiente della prostituzione cinese”. Per risalire ai nomi delle due donne di via Riboty gli investigatori sono partiti dal nome del proprietario di casa “e arriveranno al nome di chi ha sottoscritto il contratto di affitto per poi permettere la prostituzione nei locali. Gli investigatori hanno in mano anche i telefoni delle vittime, ma ne potranno fare poco dato che, solitamente, le utenze non sono intestate a chi utilizza i telefoni. Il cliente che cerca ‘compagnia’, inoltre, chiama al numero che trova sulle bacheca internet, ma a rispondergli è una donna che funge da call centre e che smista l’appuntamento alle donne che si prostituiscono nei diversi appartamenti della Capitale”.
“Non c’è – dice l’investigatore – un luogo della Capitale dove si concentra la prostituzione cinese. Sono sparsi dovunque anche in provincia. Spesso si nascondono dietro attività di massaggi ma comunque, tra la prostituzione ‘da camera’, diversa da quella da strada, quella cinese è quella a più basso costo e a più basso livelli igienico”. Per i documenti, “devo dire che durante i controlli che ho fatto a donne asiatiche, i documenti li avevano. Quelle che sono entrate clandestinamente in Italia vengono mantenute nascoste negli appartamenti in cui si prostituiscono”.
“Quella cinese” che sfrutta la prostituzione anche in Italia “è una mafia dura e che incute il terrore nelle donne che sfrutta”.
Lo dichiara, invece, Oria Gargano Presidente Be Free la cooperativa che si batte per strappare le donne dal racket della prostituzione.
“A differenza di tutte le altre organizzazioni, la mafia cinese non permette la prostituzione su strada ma soltanto negli appartamenti e ciò consente di avere un maggior controllo sulle vittime. Per assurdo, infatti, la donna che si prostituisce in strada ha maggiore possibilità di fuggire o essere aiutata; in appartamento” chiusa tra le mura “è controllata e riceve solo clienti”.
La circostanza del completo anonimato delle due donne uccise in via Riboty potrebbe essere giustificato dal fatto “che probabilmente si tratti di donne clandestine in Italia e per le cinesi è più difficile rimanere nel nostro paese rispetto alle donne che arrivano nell’illegalità da altri posti”.
Le nigeriane, per esempio, “così come donne di altre nazioni africane – continua Gargano -, ottengono il permesso di soggiorno in attesa della valutazione della richiesta che fanno per ottenere l’asilo politico. La commissione che valuta la loro pratica impiega molto tempo durante il quale loro si prostituiscono spesso per scelta.
Le cinesi non adoperano questo stratagemma e, a nostro parere – continua Gàrgano – sono donne costrette a farlo. Più volte abbiamo tentato di intervenire ma non siamo mai riusciti a salvarne nessuna perché sono terrorizzate dagli aguzzini.
A chiederci aiuto sono spesso le donne africane o arabe. Poche le italiane che ci chiamano; una decina in 13 anni di attività; quando lo fanno è per sfuggire alla violenza di un uomo o quando temono che i servizi sociali possano togliere i figli, quindi non sono solitamente vittime di tratta di esseri umani”.
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