Roma, “Sono un conducente Atac e ne vado fiera, non cambio lavoro”
“Qualcuno ha frainteso le mie parole. Ogni lavoro è nobile. Ce ne sono peggiori. Ce ne sono mille altri meglio del nostro”
Riceviamo e Pubblichiamo:
Buongiorno. Sono l'autista il cui sfogo nei giorni scorsi è finito sulle pagine del vostro giornale. Condiviso viralmente dai colleghi ma frainteso purtroppo dell'utenza. Sono una donna di 40 anni. Sono 15 anni che sono entrata a far parte di questa grande azienda: Atac. Quando ho scelto di seguire le impronte di mio padre in questo percorso ho dato le dimissioni dal mio bel posto in ufficio sotto casa, ho mollato il mio diploma di operatrice turistica per mettere questa divisa di cui vado fiera. In questi anni ho visto scambi di poltrone, un susseguirsi di direttori, amministratori, improbabili salvatori della patria sedersi ai piani alti fagocitati da ingranaggi arrugginiti e obsoleti. In questi anni ho visto il collasso di un'azienda bistrattata, umiliata, messa all'angolo mentre la politica sta a guardare.
Sono cresciuta guardando con orgoglio mio padre fare il nodo alla cravatta e uscire. Senza di lui la domenica. A Natale. Stanco la sera dopo turni massacranti. Ho scelto lo stesso la strada. Amo ciò che faccio. Cerco di dare il meglio di me ogni giorno. Parlo 4 lingue. Do informazioni. Scendo ad aiutare le vecchiette con la spesa. Blocco il traffico sui binari per far salire una sedia a rotelle su una vettura dove non c'è la pedana per i disabili. Come me ogni giorno circa 5000 colleghi si infilano la camicia sapendo che saranno giornate infernali. Guasti. Linee non esercitate per mancanza di mezzi. Ogni giorno sbattuti da una piazza all'altra per tappare i buchi.
E alcuni giornalisti parlano parlano. Sparano cifre sulle assenze senza sapere che tra i colleghi "assenti" ci sono padri con bambini disabili. Con genitori malati. Ci sono colleghi con le schiene disintegrate da vetture fatiscenti. E invece siamo qui. Ogni giorno. Tra utenti inferociti a cercare di attutire un disagio ormai endemico. Siamo qui. Senza clamori. Senza sentirsi eroi. Perché quello che ho scritto l’altro giorno era rivolto solo a chi ci attacca quotidianamente coinvolto in un gioco il cui unico scopo è quello di privatizzare mentre è sotto gli occhi di tutti il tracollo laddove è intervenuto il singolo a gestire il tpl. Qualcuno ha frainteso le mie parole. Ogni lavoro è nobile. Ce ne sono peggiori. Ce ne sono mille altri meglio del nostro.
Mi hanno detto "cambia lavoro". No. Non cambio lavoro perché lo amo come il primo giorno malgrado le difficoltà, malgrado 150 km al giorno per raggiungere Roma, malgrado sia una mamma sola con due figli che incastra ogni tassello per poter fare una vita quasi normale. Non cambio lavoro. E come me non lo cambieranno neanche i colleghi offesi, derisi, minacciati, aggrediti. Perché abbiamo fatto una scelta. Perché l'azienda siamo noi. Perché speriamo ancora che Atac torni a essere un gioiello di cui essere fieri. Perché speriamo di non dover avere più paura di uscire in divisa. Perché malgrado tutto da qui sopra Roma è magnifica. A discapito di chi vuole far credere il contrario. Alla faccia di chi vuole affondarci.