Sì, morire d’amore è possibile: a dirlo è la scienza
Una nuova ricerca ha rivelato gli effetti che la perdita di una persona amata può avere sul nostro organismo. E sono devastanti
“Si può amare da morire, ma morire d’amore no” recitava una canzone dei Neri Per Caso di parecchi anni fa (“Le ragazze”, del 1995). E quel luogo comune che “d’amore non è mai morto nessuno” sembra ancora oggi molto difficile a passare di moda. Eppure… La scienza non è dello stesso avviso: d’amore si può morire eccome!
Un recente studio pubblicato sulla rivista scientifica "Psychoneuroendocrinology", infatti, afferma che la perdita di una persona amata è invece potenzialmente in grado di creare dei danni tangibili al nostro organismo e che possono portare un individuo apparentemente sano a morte prematura.
Così ha spiegato l'autore della ricerca Chris Fagundes, professore di psicologia alla School of Social Sciences della Rice University: “Nei primi sei mesi dopo la perdita del marito/moglie, i vedovi e le vedove hanno un rischio di mortalità aumentato del 41% rispetto a condizioni normali. Il 53% di questo rischio è dovuto a malattie cardiovascolari”.
Il tutto sembra essere dovuto a diversi fattori. Uno su tutti: l’aumento delle citochine, ovvero di quelle molecole di natura proteica secrete da vari tipi di cellule (solitamente in risposta ad uno stimolo) in grado di modificare il comportamento di altre cellule, inducendo nuove attività come crescita, differenziazione o morte. Le citochine di solito agiscono localmente, ma può capitare che i loro effetti siano anche a livello sistemico, ovvero in tutto l’organismo.
La loro presenza in quantità massicce significa che c’è in atto un processo infiammatorio; processo che può anche essere innescato dalla perdita di una persona amata, come dimostra lo studio condotto su 32 partecipanti: chi aveva perduto il proprio amore, nel giro di tre mesi presentava un elevato livello di queste sostanze nel sangue. Ma non solo.
Perché i cuori “spezzati”, sono risultati essere anche assai più fragili: il loro punteggio nella misurazione della variabilità della frequenza cardiaca era infatti più basso del normale, andando a aumentare il rischio di infarto e altri problemi cardiovascolari. Ultimo, ma non per questo meno importante, il problema depressione: rispetto agli altri partecipanti, i malati d’amore hanno mostrato di avere il 20% in più di sintomi depressivi.
“Sebbene non tutti gli individui che hanno subito un lutto presentino lo stesso rischio di malattie cardiovascolari, è importante affermare che questo rischio esiste. Nelle nostre ricerche future speriamo di riuscire a individuare quali persone sono più a rischio e quali, invece, sono più portate fisiologicamente a sopravvivere alla perdita” ha concluso Fagundes.
L’obiettivo è quello di chiarire il nesso tra la perdita di una persona amata e un peggioramento della propria salute, quindi, sperando così di studiare dei rimedi per ridurre o prevenire gli effetti devastanti del “mal d'amore”.
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