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Salvezza e fede: l’emoroissa e la figlia di Giairo

La guarigione della donna che perdeva sangue (emoroissa) ha luogo tra la supplica di Giairo in favore della figlia e la risurrezione di quest’ultima (Mc. 5, 21-43). Questa maniera di intercalare un racconto in un altro è familiare all’evangelista Marco, che lo fa sempre per un motivo teologico. C’è un certo parallelismo tra le narrazioni dei due miracoli. Un punto di incontro è nel numero 12: l’emoroissa è malata da 12 anni e la giovinetta morta ha 12 anni; ambedue le guarigioni avvengono per contatto fisico: la donna tocca la veste di Gesù e la fanciulla viene presa per mano da Gesù; ma soprattutto i temi principali sono: “salvare” e “credere”.

Guarigione di una emoroissa

Siamo immersi nell’atmosfera delle folle palestinesi rumorose ed eccitate dal desiderio di assistere a un nuovo miracolo: la guarigione della figlia di Giairo. Gesù cammina in mezzo a questa calca, protetto dai suoi discepoli. Tra la folla, una donna si avvicina da dietro (v. 27), con prudenza e audacia. Marco ci dice della sua lunga malattia, che la rendeva impura e le proibiva ogni contatto con le persone; ci fa conoscere la sua sofferenza per colpa dei medici, delle sue spese inutili per guarire, del suo peggioramento della malattia (v.26), la sua fiducia nella forza che promana Gesù (v. 28), la decisione di toccare la sua veste e di sentirsi guarita. Nessuno si è accorto del suo gesto. Solo Gesù ha sentito che una forza era uscita da lui e domanda ai discepoli meravigliati: “Chi mi ha toccato?” (v. 30). La donna confessa a Gesù tutto ciò che è avvenuto (v. 33). Dopo di che Gesù spiega a lei e ai propri discepoli il significato del gesto che ella ha compiuto: è stata la fede a spingerla ed è a causa della fede che essa ha ricevuto la salvezza (v. 34). La fede di questa donna ha compreso il mistero della persona di Cristo: c’è in Gesù una forza reale ma nascosta, che l’incredulo non può distinguere, e che si rivela agli occhi della fede. I demoni stessi riconoscono la potenza divina di Gesù, mentre le folle e perfino i discepoli la ignorano. Solo la fede permette di andare oltre le apparenze: in tal caso, a colui che si avvicina a Cristo viene data la salvezza.

La fede della donna è tanto più ammirevole in quanto Gesù è un Messia nascosto e misconosciuto, circondato da folle avide soltanto di cose meravigliose e anche da discepoli che ironizzano su di lui. Egli ignora chi l’abbia toccato, così come ignorerà la data della fine della storia (parusia). Cristo non ha ancora ricevuto la potenza della risurrezione, ma già questa forza uscita da lui  che ha guarito la donna, annuncia la salvezza accordata a chiunque crederà in lui. La portata del miracolo appare chiaramente nella dichiarazione di Gesù che conclude il racconto: “Figlia, la tua fede ti ha salvato. Va in pace e sii guarita dal tuo male” (v. 34). Non ci troviamo davanti solo ad una guarigione fisica ottenuta per mezzo di un contatto puramente esteriore con la persona di Gesù: siamo di fronte alla salvezza che la sua Parola annuncia e accorda a tutti quelli che vengono a lui nella fede.

Risurrezione della figlia di Giairo

Giairo, che viene a sollecitare la guarigione della figlioletta dodicenne (v. 23), è uno dei capi della sinagoga, un notabile giudeo, certamente di qualche città sulle rive del lago. E si getta ai piedi del maestro (v. 22), con un atteggiamento che esprime la sua fede: è l’atteggiamento dei demoni, ai quali la lucidità spirituale permette di scorgere in Gesù il Figlio di Dio, e di tutti quelli che vengono a supplicarlo. La figlia di Giairo si trova in fin di vita e bisogna che Gesù la salvi perché essa possa vivere: venga Gesù ad imporle le mani e le ridoni la vita. Nel frattempo arrivano delle persone per annunciare al padre la morte della figlia e dissuadendolo dall’importunare ancora Gesù. Le parole di queste persone esprimono l’incredulità, mentre il silenzio del padre esprime la persistenza della sua fede. Gesù perciò lo incoraggia: “Non temere, continua solo ad aver fede!” (v. 36). La stessa incredulità si ritrova in coloro che, secondo la pratica orientale, piangono rumorosamente la morte della fanciulla e non possono che burlarsi delle parole di Gesù: “Perché fate tanto strepito e piangete? La bimba non è morta ma dorme” (v. 39). Per Gesù la morte non ha un carattere inesorabile e definitivo; è un sonno da cui egli ha il potere di liberare. Ma il rifiuto di riconoscere in Gesù questa potenza divina induce allo scherno e più tardi all’odio verso di lui.

Gesù allontana da sé tutti gli increduli, nella casa lascia entrare tre discepoli e i genitori della fanciulla (v. 40). L’atteggiamento di Gesù è conforme alla consegna del “segreto messianico”: è necessario capire che i miracoli di Gesù sono soltanto l’annuncio della salvezza totale che il Cristo accorderà col mistero della sua morte: “Veramente quest’uomo era Figlio di Dio!”, confesserà il centurione sotto la Croce” (15, 39). La semplicità del gesto di Gesù che prende la mano della fanciulla, e della parola che lo accompagna (“Talithà Kum… Fanciulla alzati!” v. 41), non deve far dimenticare l’importanza dell’avvenimento: la risurrezione dei morti, come la lotta contro i demoni e la guarigione delle malattie, costituisce il segno della presenza dell’azione divina che dona la salvezza agli uomini. Ma soltanto la risurrezione di Gesù poteva conferire piena luce a questo miracolo. A cosa servirebbe una risurrezione solo temporanea, senza la speranza di una risurrezione definitiva?

L’interpretazione cristiana dell’avvenimento traspare nelle parole usate da Marco: dormire, svegliarsi, levarsi. Queste parole tipiche della catechesi cristiana circa la risurrezione di Cristo e circa quella dei cristiani nel battesimo chiariscono il significato del miracolo compiuto da Gesù: esso è un atto che manifesta la potenza del Figlio dell’Uomo sulla morte e annuncia il suo trionfo su di essa. Il gesto di Gesù che prende la mano della bambina, non indica soltanto il semplice contatto del taumaturgo (colui che compie miracoli), ma significa l’intervento della mano potente di Dio nell’opera della salvezza di Israele. La morte non domina più inesorabilmente sull’uomo: è un sonno da cui la potenza di Dio, che si manifesta in Gesù, strappa l’uomo per restituirlo alla vita.                                                                                    

Bibliografia consultata: Potin, 1970.

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