Al Grassi di Ostia gli infermieri vanno a caccia di barelle, di coperte o di acqua per prendersi cura dei pazienti in attesa per ore. All’ospedale Santo Spirito si può aspettare in pronto soccorso anche per una settimana prima di essere trasferiti in un reparto. Situazione che si ripete anche al San Giovanni, San Camillo e Umberto I. Si stima che in tutta la regione Lazio almeno l’8% dei pazienti lascia il pronto soccorso prima della diagnosi proprio a causa di tempi d’attesa insostenibili.
È un articolo del Corriere della Sera a fare il conto delle giornate infinite dei pazienti costretti nei nosocomi Romani. Una carenza endemica di personale e quello che c’è, non riesce a fronteggiare la richiesta pressante di cure. I pronto soccorso restano affollati, pazienti in attesa per ore e altri fermi nelle barelle per giorni dopo essere stati accettati. Gli stessi infermieri si lamentano della situazione ormai insostenibile per chiunque.
Nell’ospedale di Pietralata il rapporto tra operatori sanitari e pazienti è sbilanciato: «Siamo undici la notte e tredici di giorno: abbiamo quindici pazienti a testa – racconta un infermiere – che in media rimangono qui 3-4 giorni».
“All’Umberto I infine gli accessi sono all’incirca 200 al giorno. Alessandra De Luca, 49enne, esce dal pronto soccorso per prendere una boccata d’aria: «Tutte le sale sono piene. Nei corridoi ci sono almeno sei persone. E io sono qui da due giorni. Aspetto di essere trasferita nel reparto di Malattie infettive, ma i posti letto sono tutti occupati»”.
Si legge nell’articolo di oggi; al San Camillo pazienti in barella per giorni, quattro se si è fortunati, oltre sette in alcuni casi.
Secondo la terza indagine dell’Agenas (Agenzia Nazionale per i servizi sanitari Regionali) il collasso generale dei pronto soccorso del Lazio si stima in un 8% di pazienti che accedono al pronto soccorso ma che se ne vanno prima di ricevere una diagnosi. Questo nonostante i cittadini tendano a non affollare i pronto soccorso; nel Lazio è stata rilevata la percentuale più bassa di codici bianchi (2,9%) a certificare che la situazione è fuori controllo per la mancanza di personale e non più per i cittadini che si recano al pronto soccorso invece che dal medico di famiglia.
Tiziana Capuani, caposala dell’ospedale Grassi di Ostia, racconta al Corriere della Sera le condizioni di lavoro del personale interno. Le sue affermazioni svelano come anche i professionisti ormai sono esasperati dalla situazione di continua emergenza che si respira nella sanità Italiana.
«Il presupposto è che il numero di sanitari e gli spazi sono sempre quelli. E il paziente non può essere rimandato a casa senza che abbia ricevuto assistenza». Quindi, spiega la caposala «Per i casi che necessitano di ricovero ci si attiva con i reparti per cercare un posto letto. Per i codici minori lo smaltimento sarà più lento. E a quel punto devi chiedere di avere tanta pazienza».
«I giorni in pronto soccorso non sono mai uno uguale all’altro. Ce ne sono alcuni in cui dobbiamo reperire le barelle andando a prenderle dove sono disponibili, pur di non far mancare niente ai pazienti. In inverno capita con le coperte. In estate con l’acqua. E poi ci sono giorni in cui la situazione è tranquilla, il numero degli assistiti rientra nella media e verifichi solo che il sincronismo tra colleghi sia scattato»
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