Santa Cecilia in Trastevere, scrigno del Giudizio universale di Cavallini

Cavallini ha circa quarant’anni, quando dipinge il primo Giudizio Universale di Roma di cui oggi possiamo ammirare solo una porzione

Roma, 1293. Un pennello si poggia sulla parete della controfacciata al mosaico di Arnolfo di Cambio nel ciborio della Chiesa (oggi Basilica) di Santa Cecilia a Trastevere.
La mano che guida il pennello è quella di tal Pietro de’ Cerroni, detto Cavallini, pittore romano che lavorerà a Roma e a Napoli tra l’ultimo quarto del XIII secolo e il primo decennio del XIV.
Di lui non si sa molto e delle sue opere rimane purtroppo poco.
Ma basta spostarsi di qualche centinaio di metri più in là, a Santa Maria in Trastevere, e osservare nell’abside i mosaici con il ciclo delle storie della Vergine per capire di essere di fronte a un autentico genio del medioevo, anticipatore delle scoperte di Giotto.

Un genio di cui rimane un capolavoro

Lentamente, prende vita un autentico capolavoro: un Giudizio Universale che precede di quasi 250 anni quello ben più famoso di Michelangelo.
Cavallini ha circa quarant’anni, quando dipinge il primo Giudizio Universale di Roma di cui oggi possiamo ammirare solo la porzione con Gesù tra gli apostoli.
Nel XVI secolo, infatti, si decise di costruire un coro per le monache di clausura del convento e, per far spazio a quell’aggiunta, venne purtroppo mutilato il dipinto. Per oltre quattro secoli l’opera finì nell’oblio più totale e solo nel XX secolo fu riportata alla luce.

Torniamo al presente

Roma, 2024.
Eccomi varcare l’ingresso della Basilica dedicata a Santa Cecilia, patrona dei musicisti e martire.
Nel 230 D.C La donna, rea di aver tentato di convertire il marito Valeriano e il fratello Tiburzio, secondo la tradizione, fu suppliziata per tre giorni nel calidarium, nei sotterranei della chiesa; scaduto il terzo giorno, non ancora soffocata dai vapori caldissimi, i suoi aguzzini la decapitarono.
Nel 1599, durante i lavori di ristrutturazione, venne aperto il sepolcro della martire nel quale il corpo fu trovato miracolosamente integro, vestito di bianco e con le ferite sul collo. A Stefano Maderno fu dato l’incarico di realizzare una statua in marmo, riproducendo l’esatta posizione in cui fu ritrovato il corpo della Santa.
Ma ritorniamo alla mia visita e al motivo principale per il quale sono lì: il mio incontro ravvicinato con Cavallini.


Sono praticamente da solo.
Visito velocemente l’interno della Chiesa e mi dirigo all’ingresso dei sotterranei dove sono stati riportati alla luce alcuni ambienti riferibili a un impianto termale e ad abitazioni antiche di cui rimangono i pavimenti a mosaico bianco e nero.
Forse, tra questi ambienti, c’è proprio la casa della nobile Cecilia, sopra la quale è stata poi costruita la Chiesa primitiva.
Adoro addentrarmi nelle viscere di Roma.
È in questi luoghi umidi, bui, silenziosi, ricchi di storia ma anche di vita, che entro più intimamente in contatto con lei.
Mi aggiro tra resti di colonne, pavimenti con mosaici, iscrizioni in marmo, meravigliosi sarcofagi, seguendo un percorso immerso nella penombra che termina improvvisamente nella cripta, ricostruita ed abbellita nei primi anni del ‘900, che lascia senza fiato per la bellezza.
Risalgo in superficie, esco nel cortile e mi dirigo verso il portone del monastero delle suore benedettine.
Suono il campanello ed entro.

La visita al Giudizio Universale

Per vedere il giudizio universale c’è da pagare un biglietto di tre euro.
Lascio il mio obolo.
Il custode mi indica un ascensore alle mie spalle.
È la macchina del tempo che mi riporterà al 1293 e a quella mano che sta imprimendo sul muro un’opera che rimarrà per sempre nella storia.
Tra me e lei, ora, solo un piano.
La porta dell’ascensore si chiude, pochi secondi e un’altra si apre.
Percorro pochi metri, varco una terza porta e davanti a me ecco la meraviglia.
Anche qui sono solo.
Mi avvicino.
Sono abbagliato, frastornato, dai colori.
I volti degli apostoli risultano vivi, le espressioni intense, sembra quasi di sentirne il respiro, la voce.
Guardano tutti verso Gesù, ma uno, Pietro, mi dà quasi l’impressione di guardare verso di me. Pare quasi sorpreso di vedermi, tanto il suo sguardo è vivo e intenso.
Mi sposto lentamente fino ad arrivare a Gesù, contornato da otto serafini con ali coloratissime e seduto su un trono prezioso tempestato di gemme.

Un nuovo uso della prospettiva

Per la prima volta il figlio di Dio è sullo stesso piano prospettico di tutte le altre figure, non più in alto, separato e lontano come nei precedenti Giudizi.
In seguito a questa disposizione, Gesù non è interpretabile come motore immobile, ma diventa un attore del Giudizio al pari degli altri personaggi. Cristo quindi si avvicina all’umanità e partecipa al Giudizio allo stesso piano delle anime. È questa del tutto innovativa interpretazione che rende diversa l’opera di Pietro Cavallini dai precedenti bizantini.
A sinistra del Cristo, gli angeli respingono i dannati, altri suonano le trombe soffiando l’aria che trattengono nelle guance gonfie.
Un realismo che colpisce e affascina.
Sembra che tutto stia accadendo davanti agli occhi di chi osserva e non si finisce mai di scoprire dettagli, particolari che aumentano il desiderio di guardare e di non andare mai via.
Percorro e ripercorro più volte il dipinto, così ordinato ed in equilibrio, così diverso dal caos e dal frastuono di quello michelangiolesco.
Arrivano alcuni turisti americani accompagnati da una guida italiana.

Furono in tanti, gli artisti a sacrificarsi per Roma

Il loro ingresso coincide con il termine della mia visita.
Riprendo l’ascensore del tempo e torno nel ventunesimo secolo.
E mentre mi allontano, penso a quell’uomo, quel genio della pittura che secondo il Vasari morì a causa di “mal di fianco, preso nel lavoro in muro, per la umidità di quello e per lo star continuo a tale esercizio“.
E a tutti quegli uomini, quegli artisti, che hanno sacrificato parte di sé per rendere Roma grande, eterna, unica.
A loro, a tutti loro, posso solo dire grazie dal profondo del cuore.