Santa Maria in Vallicella, lo splendore della biblioteca Borrominiana
La Biblioteca Vallicelliana, tempio della conoscenza con i suoi 130.000 volumi tra cui manoscritti, incunaboli
Scrivere dentro una chiesa. Da solo. Nel silenzio. Una luce discreta che ti avvolge, avvolge i pensieri, guida la mano. Una luce che contrasta con l’esagerato, quasi stucchevole manto barocco che affida all’oro di angeli, colonne, capitelli, archi, volte, soffitti il compito di nascondere la più consona semplicità del messaggio cristiano.
Santa Maria in Vallicella, meglio conosciuta con il nome di Chiesa Nuova, nell’omonima piazza. Entro nel tempio del fasto seicentesco dopo essere stato nella Biblioteca Vallicelliana, il salone del sapere, opera di uno dei geni che imbellirono Roma con la propria arte, Francesco Borromini. Entro che sono totalmente traboccante di emozioni e poco preparato allo spettacolo che si presenta ai miei occhi, una volta varcata la porta d’ingresso. Non ci sono turisti, né devoti in preghiera.
Ci sono io.
I miei passi.
La mia bocca aperta.
Il respiro trattenuto.
L’imponenza, la vastità, la ricchezza di un luogo che non dovevo visitare, ma che mi ha chiamato perché potessi, nella solitudine e nel silenzio, trovare un senso a tutto questo. Compio un giro.
Meravigliose tele dipinte sulle pareti delle navate laterali scorrono una dopo l’altra mentre il soffitto ligneo, su cui Pietro da Cortona ha dipinto il salvataggio della chiesa di Maria Santissima durante la costruzione, lentamente cede il passo alla cupola, con la Gloria della Trinità e poi, più in penombra, all’abside con Maria Santissima nella gloria dei Santi, per finire con la pala d’altare realizzata da Rubens che vi dipinse la Madonna Vallicelliana con angeli adoranti.
E poi la cappella di San Filippo Neri, con il corpo avvolto nell’argento, il regno dello sfarzo, trionfo di decorazioni che probabilmente lo stesso Santo disapproverebbe. Mi volto e quasi travolgo un leggío.
Aperto, perché si possa consultare: il Vecchio Testamento.
Mi chino sulle pagine aperte e leggo.
Dal libro del Profeta Osèa,14, 2-10: “Torna, dunque, Israele, al signore, tuo Dio, poiché hai inciampato nella tua iniquità….”
Il riferimento alle vicende di questo tempo entra prepotentemente nei miei pensieri e diventa pensiero unico.
Ma non è solo Israele ad aver inciampato.
È l’intera umanità che si è persa.
Mi siedo e ritorno all’origine, al mio essere dentro una chiesa che ora sembra meno distante da me, con tutti i suoi orpelli dorati che celebrano un Dio abbandonato, rinnegato, deriso, umiliato dai suoi stessi figli.
Ma io oggi vengo in pace.
Perché ho visto un luogo che me l’ha data, la pace.
Un luogo che non è la chiesa ma per scrivere del quale sono entrato in una chiesa.
La biblioteca
Un luogo che oltre la pace mi ha regalato uno sguardo sulla meraviglia dell’ingegno umano e del sapere.
È la Biblioteca Vallicelliana, tempio della conoscenza con i suoi 130.000 volumi tra cui manoscritti, incunaboli, stampati di natura storico-ecclesiasticatesti di filosofia, diritto, botanica, astronomia, architettura e medicina. Nell’importante raccolta di circa 3.000 manoscritti latini, greci e orientali sono presenti codici di notevole pregio e antichità, come la Bibbia di Alcuino del IX secolo, un Evangeliario greco miniato del XII secolo e un prezioso Libro d’Ore di età rinascimentale.
E sono tutti lì, nel salone centrale, in bell’ordine, su scaffali di legno che sa di antico, in basso, in alto, a destra, a sinistra, dietro le spalle, di fronte, nel luogo creato per loro, nel 1637, da Borromini e terminato da Camillo Arcucci nel 1666.
Il dorso ingiallito e strappato in alcuni punti dal tempo su cui sono impresse grafie che parlano di secoli passati, di occhi chini su tavoli di legno tarlati, di dita che intingono piume nei calamai, di mani che si muovono delicatamente sulle pagine in cui imprigionare il sapere umano.
E poi l’odore.
L’odore dei libri.
L’odore del sapere.
Ti pervade, ti stordisce.
Lo senti appena varchi la porta attraverso la quale lasci il tuo quotidiano per tuffarti nell’abbraccio del tempo.
Più lo respiri, più non ne puoi fare ma meno.
Ti stordisce, ti obbliga a desiderarlo.
È lui che ti guida nel tuo cammino lento lungo il perimetro della Biblioteca.
E lo porti con te, quando esci.
Ed è qui con me, mentre scrivo nella penombra di una chiesa che mi ha accolto mentre ero ancora stordito.
Lo ha fatto discretamente.
Nell’unico modo possibile.
Il più semplice, il più vero, il più giusto.
Offrendomi un libro con due pagine aperte su cui riflettere.
L’unico libro che non era tra i 130.000 della Biblioteca.
Ma odorava di buono e di speranza.