Santa Maria Sopra Minerva, un tesoro ferito da chi lo custodisce
Un tesoro del genere, la cui fruizione all’estero costerebbe un occhio della testa, è ferito a morte
Il chiostro della Basilica di Santa Maria sopra Minerva risale XIII secolo, epoca in cui i frati dell’Ordine dei Predicatori, ovvero domenicani, si insediarono nella Basilica di Santa Maria sopra Minerva e, oltre all’ampliamento della chiesa, fecero costruire anche alcuni edifici dove vivere in clausura e un chiostro a carattere cosmatesco a fianco della stessa.
Tra il 1559 e il 1569 il Generale dell’Ordine Domenicano Vincenzo Giustiniani incaricò Guidetto Guidetti, architetto di probabili origini fiorentine, attivo a Roma nella seconda metà del secolo, di progettare e dirigere la riedificazione del chiostro duecentesco. Il chiostro perse la sua decorazione originale, e gli affreschi duecenteschi furono sostituiti dai Misteri del Rosario e da Scene della vita di San Tommaso d’Aquino, di stile manieristico-barocco. Altri artisti ignoti realizzarono poi gli affreschi delle arcate del chiostro, su commissione del vescovo Andrea Fernandez de Cordoba nei primi anni del Seicento.
È una visita, quella al chiostro, che lascia senza fiato. Si entra attraverso un anonimo cancello grigio prima del quale, sul davanzale della finestrella del custode, lasciamo un’offerta libera che ha il potere di spalancare le porte a una meraviglia mille volte superiore a ciò che ci aspettiamo.
E improvvisamente siamo circondati da enormi dipinti, un tripudio di colori che riveste pareti e soffitti, a volte in ombra, altre volte illuminati dalla luce del sole che penetra dalle arcate che delimitano l’antico cortile traboccante di piante e alberi.
Il Chiostro ferito a morte dalle automobili
Procediamo a passo lento in un silenzio e una solitudine che nutrono lo spirito mentre il nostro sguardo vaga tra arte e natura, vicini ma lontanissimi dal mondo reale dove la vita che scorre convulsa e i rumori dei tempi moderni annientano pensieri e sentimenti.
Eppure, un tesoro del genere, la cui fruizione all’estero costerebbe un occhio della testa, è ferito a morte dalla presenza di auto parcheggiate sull’antica pavimentazione, tra archi e dipinti. Sono le auto di alcuni religiosi del convento che utilizzano il chiostro come garage personale.
È qualcosa di inaccettabile che fa una rabbia inimmaginabile e ci costringe ancora una volta a pensare alla mancanza di rispetto che riserviamo a una città che più di ogni altro al mondo conserva e regala tesori che nessuno possiede.
Perché non è raro, anzi è purtroppo molto frequente, imbattersi in situazioni di degrado, incuria, abbandono, proprio in quei luoghi che dovrebbero essere tutelati e presentati a cittadini e turisti tenendo conto del loro immenso valore e di ciò che rappresentano.
Così, all’uscita, non posso fare a meno di chiedere spiegazioni ed esternare il mio disappunto.
«Purtroppo in piazza non si può parcheggiare. Gliele portano via…», dice la custode facendo spallucce. Rinuncio a controbattere, non servirebbe a nulla. Il parcheggio delle auto è prioritario, l’arte secolare si deve inchinare ai problemi contingenti della vita del XXI secolo.
Ma se al degrado si può porre rimedio, anche se spesso questa appare una “mission impossible“, lo sfregio alla città eterna è una ferita che non si rimarginerà facilmente. Meditiamo su questo…