Nuove regole per la scuola. Si parla molto nelle ultime ore delle disposizioni sancite dal ministro dell’istruzione Giuseppe Valditara in relazione ai comportamenti da tenere in classe.
Se da un lato il provvedimento di far pagare sanzioni in caso di occupazione e l’inserimento di una commissione per l’Autorevolezza e Rispetto stanno incontrando diversi pareri favorevoli, fa storcere il naso a qualcuno l’impedimento di tenere lo smartphone in classe durante le ore di lezione, sia a docenti che ad alunni.
“A scuola si va per studiare” – aveva detto il ministro Valditara – “bisogna educare i giovani alla cultura del rispetto”.
Certamente una disposizione che fa e farà molto discutere. Per conoscerla e comprenderla meglio anche da un punto di vista sociologico abbiamo intercettato Domenico De Masi, professore emerito di Sociologia del lavoro presso l’Università “La Sapienza” di Roma.
“Io ho insegnato sia prima, sia durante l’era degli smartphone” – dice il Prof. De Masi “Il cellulare è diventato un concorrente del professore. Il docente in aula è in concorrenza con quello che i ragazzi trovano in rete, navigando con i devices a loro disposizione. Questo comporta che i docenti possono lasciare tranquillamente la possibilità di usare il telefonino, ma debbono essere così bravi da accalappiare l’attenzione dei ragazzi, affinchè essi non cadano nella tentazione di chattare. Questo è possibile solo per pochi, la tentazione è fortissima. Per quanto io sia permissivo, credo che si debbano vietare durante la lezione. I momenti per utilizzarli ci sono e sono gli intervalli“.
E’ un problema generazionale secondo lei?
“Sì, ma non scopriamo niente, perché le precedenti non avevano il cellulare. Ma in ogni caso, tengo spesso riunioni di buon livello, per esempio quelle dell’Aspen. Per l’occasione convergono dei ministri, ci sono presidenti di grandi banche o aziende, con riunioni che possono durare un giorno, un giorno e mezzo. Debbo dire che non ho mai visto nessuno utilizzare il telefono, eppure sono persone di notevolissima rilevanza“.
C’è una netta riduzione della soglia dell’attenzione secondo lei? Quella famosa soglia dei 45 minuti…
“Noi siamo disposti a stare attenti anche sette ore, se ci sono delle interruzioni. Le lezioni non sono più quelle di un tempo, in cui un professore parlava e basta. Oggi un professore mostra filmati, fa esercitazioni con supporti tecnologici. Se facciamo riferimento a lezioni frontali, come eravamo abituati, forse anche 5 minuti sono troppi. Oggi le lezioni sono variegate. Tra un dibattito, un filmato, un documentario e altre esercitazioni”.
Ma quindi anche il telefonino è di supporto alla lezione…
“In questo caso sì. Faccio esercitazioni con lo smartphone- Spesso dico ai miei allievi di utilizzarlo per chiamare qualche amico e verificare quello di cui stiamo parlando. In questo caso, è certamente uno strumento didattico“.
E’ anche un modo secondo lei per arginare il fenomeno del bullismo? Perché spesso, sapendo di poter filmare e mettere in rete un comportamento, sono più portato a compierlo…
“Quello però non viene fatto durante l’ora di lezione. Spesso è durante l’intervallo che avvengono certe cose”.
Non lo trova un po’ decontestualizzato? Nel senso che oggi comunichiamo anche con servizi di messaggistica instantanea e siamo portati a essere sempre sul pezzo, in qualsiasi momento…
“Non condivido questa tendenza. Non si può fare questo durante le lezioni. Lo studente deve stare attento, quella lezione costa un sacco di soldi allo Stato e alla famiglia. Perciò gli studenti siano attenti e non rompano i coglioni. E’ come se in una riunione del consiglio dei ministri, o durante un’operazione chirurgica la gente iniziasse a telefonare. Ci sono delle cose che richiedono attenzione”.
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