Insistono entrambi: sia Luigi De Magistris, sia Leoluca Orlando. E dopo aver annunciato di voler disapplicare il Decreto Sicurezza, in nome della solidarietà “umanitaria” nei confronti di immigrati e profughi, alzano addirittura il tiro. Proclamando che i porti delle rispettive città, Napoli e Palermo, sono pronti ad accogliere la Sea Watch, carica appunto di migranti e tuttora in cerca di attracco.
De Magistris, anzi, non vede l’ora che accada: “Io mi auguro che questa barca si avvicini al porto di Napoli perché contrariamente a quanto dice il governo metteremo in campo un’azione di salvataggio e la faremo entrare nel porto di Napoli. Sarò il primo a guidare le azioni di salvataggio”.
Orlando, a sua volta, si lancia in un’accorata perorazione: “Sulla nave c’è la bandiera del comune di Palermo, in segno di piena solidarietà. Questi provvedimenti non sono un insulto ai migranti ma sono un insulto agli italiani e alla nostra cultura dell’accoglienza. Anche sotto il profilo di difesa della nostra identità nazionale. Il porto di Palermo è assolutamente aperto per loro e vorrei che il Ministro Toninelli facesse quello che ho fatto io e ordinasse di non seguire le indicazioni del suo collega, il Ministro dell’Interno. Questo contrasto devono risolverlo loro, non devono scaricarlo sui cittadini e sui migranti”.
Insomma, la crociata anti Salvini prosegue imperterrita. “Dimenticando” che lui non è più solo il leader della Lega ma il ministro degli Interni. Nonché, sia pure in coabitazione con Di Maio, il vicepresidente del Consiglio. E “dimenticando” pure che la gestione dei porti non dipende dai sindaci ma dalle relative autorità portuali. Che pur godendo di ampia autonomia amministrativa soggiacciono, com’è ovvio, alle leggi vigenti. A cominciare dalle normative statali.
In termini prettamente giuridici, i Comuni non hanno alcuna voce in capitolo sulle scelte di governo in tema di immigrazione. E quello che si sta cercando, perciò, è uno scontro che travalica qualsiasi diatriba tra le pubbliche istituzioni, in tema di competenze.
La “scommessa” consiste nel mettere Salvini di fronte a un aut-aut: o intervenire in chiave repressiva, esponendosi a nuove accuse di autoritarismo “fascista”, oppure lasciar correre, perdendo di credibilità agli occhi del suo elettorato di riferimento.
È un gioco pesante. Spregiudicato. Cinico.
E se le posizioni fossero invertite, non c’è dubbio che dal PD a Repubblica, e oltre, il coro sarebbe unanime: non possono essere dei singoli sindaci, a stabilire le politiche da seguire in una materia così delicata e di portata nazionale.
Si cerca il “casus belli” per atteggiarsi a martiri. Sperando di spostare la contrapposizione su scala internazionale e ottenere che il governo Conte venga avviluppato in una rete di pressioni esterne.
Un atteggiamento che si ammanta di umanitarismo, ma che è di per sé sovversivo.
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