E sul finire di giugno, quasi con vista sulla pausa estiva, la maggioranza rosso-gialla si è accorta di avere per le mani un Senato bollente. Colpa dell’emorragia di parlamentari pentastellati che, goccia dopo goccia, addio dopo addio sta scavando la roccia del Governo Conte-bis. Che improvvisamente ha aperto gli occhi, rendendosi conto di essere sul filo del rasoio.
Diciamoci la verità: se il crudo fatto fosse l’ennesimo abbandono dai gruppi parlamentari del M5S, non sarebbe nemmeno una notizia. Non si tratterebbe infatti che dell’ennesima ripetizione di un copione che, limitandoci a Palazzo Madama, è già andato in scena 13 volte dall’inizio della legislatura. Quattro delle quali nel solo 2020.
La novità, però, è che con le ultime defezioni gli azionisti di maggioranza dell’esecutivo si sono trovati di colpo con un Senato bollente. Nella Camera Alta, infatti, le cifre, da sempre ballerine, si sono fatte risicatissime, il che implica che l’incidente è sempre dietro l’angolo. Magari remoto, magari non imminente, ma sempre incombente come la spada di Damocle.
L’ultima a sbattere la porta è stata Alessandra Riccardi, passata alla Lega dopo quella che lei stessa ha definito una «scelta sofferta ma convinta». Maturata dopo che «gli ultimi mesi hanno visto irrimediabilmente acuirsi le distanze tra le mie idee e quelle del Movimento 5 Stelle». Col mancato coinvolgimento dell’opposizione nell’iter delle riforme, e i contrasti sul voto in giunta contro il leader leghista Matteo Salvini per il caso Open Arms.
I grillo-comunisti, comunque, hanno ostentato sicurezza. «Al Senato siamo ben superiori alla maggioranza di 160 che leggo sui quotidiani» ha rodomonteggiato Federico D’Incà, Ministro grillino per i Rapporti con il Parlamento. Aggiungendo che «siamo a 170 senatori della maggioranza stabili. Non abbiamo un problema di numeri». Di sciorinarli, forse: di darli, sicuramente.
A dispetto della sicumera, infatti, la matematica non è particolarmente indulgente. Attualmente, stando alla composizione dei gruppi parlamentari di Palazzo Madama, il Governo può contare su un novero di voti oscillante attorno alla maggioranza assoluta di 161.
Il computo tiene conto degli attuali 95 senatori dei Cinque Stelle, dei 35 del Pd, i 17 di Iv e i 5 di LeU. A questi vanno sommati alcuni rappresentanti del Gruppo Misto e di quello Per le Autonomie, ma già qui i calcoli divergono a seconda della fonte. E bisognerebbe aggiungere anche gli ondivaghi esponenti della Svp, alcuni transfughi del MoVimento ancora disposti a puntellare l’esecutivo, nonché i senatori a vita. Tra i quali soltanto Mario Monti e, in misura minore, Elena Cattaneo gradiscono il ruolo di ciambella di salvataggio. Che starebbe bene anche a Giorgio Napolitano e Liliana Segre, i quali però partecipano raramente alle sedute. Praticamente non pervenuti, invece, Carlo Rubbia e Renzo Piano.
Ottimisticamente, è possibile prendere per buono il conteggio di D’Incà, mentre al minimo il bi-Premier Giuseppe Conte dovrebbe poter fare affidamento su 160 senatori. Uno in meno della maggioranza assoluta, che però negli scrutinî viene richiesta assai di rado.
Ça va sans dire, tutti gli occhi sono puntati sulla “mina vagante” rappresentata da Matteo Renzi. Con la sua atavica e tafazzesca libido da “resa dei Conte” che finora ha sempre ceduto il passo all’anemia dei sondaggi. Ma, quando c’è di mezzo l’ex Rottamatore, non è mai facile riuscire a dormire sonni tranquilli.
La Riccardi potrebbe poi essere seguita molto presto da altri membri del gruppo del Movimento Cinque Stelle a Palazzo Madama. Secondo i rumours, Mattia Crucioli si appresterebbe infatti a ingrossare le fila del Gruppo Misto. E avrebbero già le valigie pronte, ma in direzione Carroccio, anche Marinella Pacifico e Tiziana Drago.
Quest’ultima non ha confermato – ma neppure smentito – le indiscrezioni. Ha però commentato sibillina: «Forse è il Movimento che mi vorrebbe fuori. Occorrerebbe chiedere a qualcuno dei vertici…».
A complicare ulteriormente il quadro c’è poi la questione delle rendicontazioni, con la prima deadline che è scaduta a metà mese. Nelle prossime settimane i probiviri (sic!) dovrebbero pronunciarsi sui parlamentari in ritardo con la restituzione degli emolumenti. Pare che siano una decina le situazioni in esame, di cui sei particolarmente critiche. A rigore ci si aspetterebbe il pugno duro ma, per via del Senato bollente, già si vocifera che si ipotizzino sanzioni, più che espulsioni.
Ancora una volta, quindi, i “figli” del cosiddetto comico saranno chiamati a scegliere tra uno dei propri vessilli ideologici e la sopravvivenza politica. Visti i precedenti e le premesse, l’esito dell’aut aut pare piuttosto scontato.
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