Sergio Castellari, un manager di stato “suicidato” a Sacrofano. Perché?
Ma chi poteva avere interesse a eliminare Sergio Casellari? Perché era troppo rischioso che parlasse con i magistrati?
Erano gli anni di “Mani Pulite” e il direttore generale delle Partecipazioni Statali venne trovato cadavere su una collinetta vicino a Sacrofano, con accanto una pistola con il cane sollevato. Cosa difficile per uno che si sarebbe sparato alla testa! Chi aveva interesse a farlo tacere?
Il corpo di Sergio Castellari, supermanager di Stato, direttore generale delle Partecipazioni Statali, fu trovato su una collinetta a nord di Roma, nel comune di Sacrofano, il 25 gennaio 1993. Per gli inquirenti era evidentemente un omicidio ma venne archiviato come suicidio perché così conveniva a tutti.
La messinscena dei soliti servizi segreti non avrebbe convinto neanche il Maresciallo Antonio Carotenuto, interpretato da Vittorio De Sica, di Pane Amore Fantasia, il film con Gina Lollobrigida nei panni di Pizzicarella, la Bersagliera. In effetti certe indagini degli anni ’90 ricordano l’Italietta del dopoguerra, quella in cui ci si arrangiava, con una pacca sulle spalle e si chiudeva un occhio davanti a ogni problema, pur di tirare innanzi.
Il suicidio di Castellari: il diavolo fa le pentole ma non i coperchi
In effetti il coperchio di questa pentola lasciava molto a desiderare. Molti furono gli indizi che lasciano ipotizzare uno scenario diverso dal suicidio: il cane della pistola viene trovato alzato, operazione ardua per un uomo che si è appena sparato in testa. La bottiglia di whisky in piedi su un prato sconnesso, dopo 5 giorni, con raffiche di vento e pioggia. Poi la pistola riposta nella cintura, le scarpe pulite, l’auto parcheggiata ben visibile che nessuno aveva visto in 5 giorni! Era giovedì quel 25 febbraio del ’93, quando il corpo venne trovato in località Monte Corvino, poco fuori Sacrofano.
Tutti sanno dov’è questo antico paesone adagiato sulle colline tra la Flaminia e la Cassia: più Roma Nord di così si muore. Appunto. Siamo a 30 km da Roma. Che ci fa lì il direttore generale (1981-1992) del Ministero delle partecipazioni statali? Nessuna scoprirà mai perché era lì. Il dottor Castellari è separato con due figli e di lui si erano perse le tracce da una settimana, esattamente dal 18 febbraio. Ora è un po’ difficile che un uomo di 61 anni, padre di famiglia, per giunta separato, faccia perdere le tracce consapevolmente e si aggiri per le campagne dell’agro romano con una bottiglia di whisky. Neanche se avesse avuto delle pene d’amore sarebbe credibile questa immagine.
La maxi tangente Enimont, la madre di tutte le tangenti
La notte tra il 17 e il 18 febbraio l’aveva passata a casa di un amico. Il mattino seguente aveva avuto un colloquio di pochi minuti con l’onorevole Giulio Andreotti, prima di andare a parlare, assieme ai suoi avvocati, con i magistrati della Procura di Roma, che nei giorni precedenti gli avevano notificato un avviso di garanzia per violazione della pubblica custodia di cose. Nella sua lussuosa villa, teatro di cene e ricevimenti ai quali partecipavano anche illustri personaggi del Partito socialista di Bettino Craxi, erano stati sequestrati documenti che, secondo l’accusa, sarebbero dovuti stare negli archivi del ministero.
Si trattava però di copie, poiché Castellari non aveva sottratto alcun originale. Il provvedimento rientrava nelle indagini sulla “maxi-tangente Enimont”, la madre di tutte le tangenti, la prova più eclatante della corruzione tra sistema politico e ceto imprenditoriale, da un anno scoperchiata dall’azione giudiziaria del “pool” di Milano per quell’inchiesta passata alla storia come Mani Pulite.
Il ruolo (nascosto) dell’Italia nel commercio di armi internazionale
In quelle carte fotocopiate si parlava di forniture di materiale nucleare italiano all’Iran, in quel periodo in guerra con l’Iraq. Il passaggio avveniva tramite la Germania Occidentale, allora ancora divisa dalla DDR. L’Italia è risultata spesso coinvolta, e lo è tutt’ora, in traffici di armi poco chiari, spesso tenuti nascosti, commerci che potrebbero prefigurarsi come in contrasto con l’articolo 11 della Costituzione in cui si recita che: “L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali…” Ripudiamo la guerra ma ci guadagniamo sopra a scapito delle vite altrui.
Quelle carte spiegavano come superare problematiche inerenti all’embargo verso le nazioni coinvolte in conflitti bellici. Informazioni più che rilevanti, delicatissime, che se fossero rimaste avvolte nelle nebbie del Ministero avrebbero permesso al dr. Castellari di essere ancora vivo e nonno felice accanto ai propri figli. Ma non è andata così. Quella morte precedette di poche settimane quelle di altri personaggi coinvolti nello scandalo Enimont e anche loro deceduti in circostanze ancora non chiarite. Mi riferisco a Gabriele Cagliari, presidente Eni e a Raul Gardini, imprenditore già alla guida della Montedison. Anche lui “suicidato”.
Un altro suicida che sposta la pistola dopo morto
Secondo la ricostruzione ufficiale il 23 luglio 1993 Raul Gardini si sveglia presto per andare dai magistrati Antonio Di Pietro e Francesco Greco a fare una deposizione sulla maxitangente Enimont. Ma non ci arriverà mai. Un proiettile della sua Walther PPK gli trapassa la testa. Il maggiordomo lo scopre sul letto, morto. Sulla scrivania si trova un biglietto con scritto un laconico “Grazie”, indirizzato ai familiari. Ma la cosa strana è che accanto al biglietto c’è anche la pistola. Se il corpo di Gardini giaceva sul letto come c’era finita la pistola così distante? Anche Gardini, come Castellari, l’ha spostata dopo morto?
La cosa più realistica, a parte l’omicidio molto probabile, è che qualcuno l’abbia spostata non pensando al danno che stava commettendo. Ritorniamo all’Italietta di Pane Amore e Fantasia e di fantasia ne avevano molta questi potenziali assassini. Ma gli inquirenti ci passano sopra. Meglio archiviare. Gardini in quei giorni che precedettero la sua morte era molto impressionato dalla morte di Cagliari, avvenuta solo tre giorni prima, suo avversario nella vicenda Enimont.
Cagliari si suicida in cella con una busta di plastica sigillata da un laccio da scarpe!
Anche Cagliari si sarebbe tolto la vita in circostanze ugualmente misteriose. Il 20 luglio 1993 venne trovato senza vita nel bagno della sua cella, con la porta chiusa dall’interno. Un sacchetto di plastica calato sulla testa e sigillato con un laccio da scarpe lo aveva soffocato. (Ma non vengono tolti all’ingresso in carcere i lacci, la cintola, la cravatta e ogni altro oggetto con cui ci si possa togliere la vita?).
La sua morte scatenò un acceso dibattito sull’uso del carcere preventivo da parte della magistratura per far confessare gli indagati. I magistrati risposero che altrimenti queste persone avrebbero cancellato le prove e trovate appoggi e aiuti compiacenti nelle alte cariche dello Stato. Per me avevano ragione i magistrati. Non erano carcerati qualsiasi e sappiamo bene quali coperture sanno mettere in campo.
L’intero sistema dei partiti salta e nel Mondo si modificano gli assetti del potere
Bisogna ricordare che tra il 1992 e il 1994 l’Italia ha vissuto una svolta epocale nella vita politica ed economica. Salta l’intero sistema dei partiti e i collegamenti con l’imprenditoria e il mondo della finanza. Dopo la caduta del Muro di Berlino saltano alcuni accordi internazionali. Si modificano gli stessi assetti mondiali del potere. Qualcosa che sta accadendo anche adesso con la crisi della supremazia americana nel mondo. Il vecchio sistema politico non garantisce la governabilità. Il gruppo Gardini registrò una perdita di 350-450 milioni di dollari.
Nel bilancio del 1989 bisognava iscrivere tale perdita a carico della società Ferfin, invece Gardini dette disposizione perché il bilancio redatto e approvato nel 1990 si iscrivesse una perdita di 150 milioni di dollari. Questo secondo le rilevazioni di Giuseppe Garofano, presidente e amministratore delegato Montedison dal 1990 al 1992 e amministratore delegato della Ferruzzi. Fu lui a pagare le tangenti ai politici perché l’Eni potesse riacquistare le sue azioni peer circa 600 miliardi di lire sopra il loro valore. Grazie all’interrogatorio con Garofano il pool di Mani Pulite era giunto alla Ferruzzi e al nome di Raul Gardini.
Questi avrebbe tentato in tutti i modi, dal ’90 in poi, di mettere a carico di Montedison (e non di Ferfin) il buco aperto, ma nonostante l’opposizione di Garofano alla fine una parte di quelle perdite sarebbe spuntata nel bilancio Montedison.
L’archiviazione del “suicidio” Castellari: gli interrogativi irrisolti
Nell’agosto 1998 venne archiviato il fascicolo sulla morte di Castellari, “essendo ragionevolmente fondata la natura suicidaria”. In pratica, stravolto dalle indagini nei suoi confronti e terrorizzato dall’idea di finire in carcere, l’uomo avrebbe trovato il coraggio per l’ultimo drammatico gesto: prese la pistola, raggiunse la collina, bevve mezza bottiglia di whisky e decise di farla finita con un colpo alla testa.
Ma, come nei migliori “gialli”, è proprio la scena del delitto a sollevare domande che a loro volta aprono altri interrogativi. Il ritrovamento del cadavere lascia perplessi. Quarantott’ore dopo l’inizio delle ricerche: perché la famiglia aspettò così tanto per la denuncia? Era a poche centinaia di metri dalla sua abitazione, perché non restare in casa? Oltretutto in aperta campagna, in una zona a cielo aperto, sorvolata più volte dall’elicottero della polizia. Possibile che non lo avessero visto?
E fu altrettanto possibile che la vettura di Castellari, parcheggiata all’inizio di una strada sterrata e visibile dalla finestra del bagno di casa, non l’avesse notata nessuno prima del nipote Andrea, sceso apposta in quei giorni da Milano? E perché la suola delle scarpe di Castellari era come nuova, senza tracce di terra all’interno, se il corpo si trovava su un terreno molle, solitamente coltivato a grano e oggetto in quei giorni di forti piogge?
Come ci era arrivato? Volando? Se il dirigente era da solo al momento dello sparo, perché ai suoi piedi c’era un mozzicone di sigaretta sul quale fu accertata la presenza di Dna femminile? E come mai la bottiglia del whisky era priva d’impronte digitali? Ma non solo: come faceva a essere rimasta in piedi, per una settimana, se insieme alla pioggia infuriarono raffiche di vento vicine ai 100 km/h?
I molti perché che non trovano risposta e fanno pensare a un omicidio
Poi la pistola, oltre ad avere il cane rialzato, come se fosse stata caricata per esplodere un altro colpo, come può il suicida riporre l’arma nella cintola dei pantaloni? E può non avere i vestiti imbrattati di sangue? Infine, perché non fu mai ritrovato il proiettile fatale? Complessa, al limite dell’impossibile, anche l’identificazione. Assenti i polpastrelli delle mani, come mozzati. Deturpato, pressoché irriconoscibile, il volto, in larga parte scarnificato. Si disse per colpa della macrofauna locale (cinghiali, maiali selvatici) che però, a parte l’assenza d’impronte sul terreno, perché non fagocitarono anche il resto del corpo e si fermano al volto?
Castellari fu riconosciuto dai documenti che aveva con sé, dall’orologio e dall’arcata dentale. Però perché da casa sua era sparito il passaporto? E perché erano state distrutte quasi tutte le sue fotografie? Se addirittura c’è chi ipotizzò che fosse fuggito in Sud America e che quello fosse il corpo di un’altra persona, tante incongruenze fecero prendere quota alla tesi di Castellari ucciso in un altro luogo e poi trasportato su quella collina dove fu inscenato il suicidio.
Ma chi poteva avere interesse a eliminarlo? Perché era troppo rischioso che parlasse con i magistrati? Qualcuno aveva interesse che non parlasse coi magistrati e lo convinse che stava correndo un serio pericolo proprio all’interno del Palazzo di Giustizia dove era stato dopo il colloquio con Andreotti. Poi andò a Formello, consumò un pasto ed esternò (o gli fecero esternare) le sue volontà ai parenti e a due amici giornalisti e sparì dalla circolazione una settimana, prima di essere ritrovato cadavere.