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Significato di un esorcismo

Abitualmente nei vangeli, la richiesta di un miracolo viene descritta con un gesto, una iniziativa che manifestano la fede dell’infermo o dei presenti; nel brano che stiamo esaminando (Mc. 1, 21-28) invece nessuno interviene, Gesù non si muove; abbiamo come un’esplosione. Potremmo dire che il semplice fatto di trovarsi di fronte a Gesù provoca il grido del demonio: “Che c’entri con noi, Gesù Nazareno? Sei venuto a rovinarci! Io so chi tu sei: il Santo di Dio” (v. 24). E’ evidente che l’incontro con Gesù provoca uno choc. Il demonio non può rimanere indifferente: è come se dicesse a Gesù: di che cosa ti immischi? Si tratta di una dichiarazione di guerra, di una dichiarazione d’inimicizia e del rifiuto di un combattimento di cui l’interessato conosce troppo bene il risultato.  

In questi dialoghi sorprendenti, il demonio attribuisce a Gesù il titolo di “Santo di Dio” o, altrove, “Figlio del Dio altissimo”. Vuole presentare Gesù come un essere che appartiene alla sfera della santità divina, in relazione particolare con Dio, ed esprimere così la totale incompatibilità tra Gesù e il demonio che Marco chiama “spirito immondo”. E’ comprensibile che il demonio avverta la presenza di Gesù come un’aggressione, che provoca l’esplosione sopra accennata. Infatti, Gesù lo sgrida: “Taci, esci da quell’uomo” (v. 25), letteralmente, “metti la museruola”, presentando il demonio come un animale selvatico da dominare e rendere inoffensivo.

Ed ecco finalmente l’epilogo dell’esorcismo: “E lo spirito immondo, straziandolo e gridando forte, uscì da lui” (v. 26). Le convulsioni e il grande grido significano che il risultato è ottenuto, ma senza lotta, a differenza di quanto avviene negli altri esorcismi dove si ha l’impressione che Gesù incontri una certa resistenza. Qui, invece, la vittoria è immediata. Ed è precisamente questo che i testimoni ammirano e trovano inconsueto: l’obbedienza degli spiriti impuri alla semplice parola di Gesù. Si tratta di un esorcismo diverso da quelli diffusi nel mondo religioso antico, sia giudaico che pagano. Nella “tecnica” di Gesù non troviamo formule magiche né segni straordinari: viene semplicemente rilevata l’efficacia della parola e affermato puramente il risultato. I demoni stessi riconoscono che si tratta di un fatto nuovo nella storia della salvezza. Un’era nuova ha inizio, il mondo cambia padrone; il potere degli spiriti impuri è terminato, essi sono rovinati, perché la vittoria giunge più presto del previsto. Gli esorcismi di Gesù hanno quindi un significato escatologico (definitivo): “Se io scaccio i demoni in virtù dello Spirito di Dio, è venuto per voi il regno di Dio”.

Certamente i racconti di esorcismo hanno avuto una loro funzione nella predicazione missionaria nella chiesa primitiva: essi presentano Cristo come il Liberatore e il distruttore delle Potenze del Male. Ma se il cristiano è liberato, la vita cristiana rimane un combattimento contro le potenze del male. In questa prospettiva, è anche molto probabile che i racconti di esorcismo abbiano avuto un loro ruolo nella Iniziazione cristiana, nella catechesi battesimale. Con Cristo, anche il cristiano è vincitore.

Marco, interprete dell’esorcismo

Marco modifica un poco questo racconto di esorcismo, che ha ricevuto dalla tradizione e al quale annette grande importanza, per adattarlo al suo piano. Più degli altri due sinottici (Matteo e Luca) evidenzia l’importanza che attribuisce alla lotta di Gesù contro satana situando scene di esorcismo nei punti cardine, nei punti strategici della sua opera. Qual è dunque il piano dell’evangelista? Si tratta della rivelazione, della scoperta progressiva della persona di Gesù. Il nostro racconto di esorcismo contiene una risposta all’interrogativo fondamentale “chi è Gesù?”. L’evangelista Marco vuole condurre il lettore alla professione di fede cristiana, al riconoscimento di Gesù come Messia e Figlio di Dio da lui annunziato come tale fin dal primo versetto del suo vangelo.

In tutto il vangelo di Marco, nessun uomo è in grado di pronunziare le parole “Gesù Figlio di Dio”. E’ necessario attendere la Passione; ai piedi della croce, vedendo come Gesù è morto, il centurione, un pagano, che si trova là per caso, per grazia, può dichiarare: “Veramente quest’uomo era il Figlio di Dio” e raggiungere così il segreto del Padre. Per questo Gesù ordina ai demoni di tacere, di azzittirli quando essi pronunciano la sua identità, un ordine analogo egli lo dà a tutti i miracolati, o ai discepoli. Le parole che Marco ci trascrive nel suo vangelo vogliono insinuare che limitarsi a ripetere “Gesù Figlio di Dio”, come dall’esterno, senza entrare nel mistero, è soltanto un’operazione diabolica che compromette in definitiva la missione di Gesù e la conoscenza autentica della sua persona. I demoni infatti sanno “male” chi sia Gesù e lo dicono troppo presto. Solo il Padre lo sa “bene”, e l’uomo non lo imparerà che al momento della croce. Non basta saperlo grazie ad una conoscenza soprannaturale usurpata; bisogna riceverlo nella fede, come un dono del Padre. Né si deve dirlo troppo presto poiché è possibile ingannarsi. Infatti, le opere di Gesù, che fanno accorrere le folle, che invitano ad interrogarsi “chi è costui?”, acquistano un significato solo nella Passione: veramente, non possiamo sapere chi sia Gesù se non lo seguiamo fino alla croce.

Dottrina nuova insegnata con autorità

Ciò che interessa Marco nell’insegnamento di Gesù non è tanto il contenuto, ma l’attività in se stessa, in quanto manifestazione di ciò che è Gesù. Marco ce ne rivela una duplice caratteristica: novità e autorità. L’insegnamento di Gesù è nuovo per la sua qualità, perché impartito con autorità. Gesù si presenta come superiore alla Legge, la interpreta, ha autorità su di essa. L’autorità che egli esercita è il potere di liberare l’uomo da tutte le schiavitù, compreso il peccato. Decisamente, Gesù non è un rabbino, si comporta piuttosto come un profeta a diretto contatto con Dio: “il santo di Dio”, come dice giudiziosamente il demonio. In fondo, il racconto dell’esorcismo ha un solo scopo: illustrare il potere di liberazione che Gesù esercita a tutti i livelli e in tutti i campi; dobbiamo interpretarlo nella prospettiva di ciò che l’insegnamento manifesta e non come un miracolo straordinario.                                          

Bibliografia consultata: Briere, 1974.

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