Uno dei Campioni dell’82, che torna spesso nel suo paese per rievocare quell’evento con i suoi compagni di squadra, gli amici, i parenti, in un clima di festa. Il borgo laziale li accoglie tra le mura medievali dove si respira la storia e si apprezzano le eccellenze gastronomiche.
Alessandro Altobelli, detto Spillo, è il sesto marcatore azzurro di tutti i tempi. Assieme a Adolfo Baloncieri e Filippo Inzaghi ha realizzato 25 reti in Nazionale. Lui dice che sarebbero 28, perché in Messico ne fece tre al Guadalajara, ma siccome era un’amichevole, non gliele contarono, ma lui le aveva segnate! Chi ha più di 50 anni non si può dimenticare dei Campioni del Mondo del 1982 in Spagna. Altobelli quella partita contro la Germania l’aveva iniziata in panchina. L’infortunio alla spalla di Ciccio Graziani gli aprì le porte della finale.
Bearzot lo mandò in campo che era già carico e Spillo segnò il terzo gol, quello della sicurezza, per cui il presidente Sandro Pertini disse a Juan Carlos, Re di Spagna, non ci riprendono più. Così fu. Finì 3 a 1 per l’Italia con gol di Paolo Rossi su assist di Gentile. Poi Scirea indirizzò a rete Tardelli, che fece quella corsa a metà campo che ogni tanto viene fatta vedere in tv, il famoso “urlo di Tardelli”. A pochi minuti dalla fine Altobelli segnò il terzo gol a seguito di un contropiede di Bruno Conti. Poi Breitner accorciò con il gol della bandiera per i tedeschi. Bruno Conti, Ciccio Graziani e Spillo Altobelli, tre campioni nati nella Regione Lazio, rispettivamente a Nettuno, Subiaco e Sonnino.
Spillo Altobelli è nato a Sonnino, oggi circa 8mila abitanti, in provincia di Latina, il 28 novembre 1955. Arroccato sul Colle di Sant’Angelo e circondato dai Monti Ausoni, il paesaggio circostante alterna colline di macchia mediterranea, a oliveti, boschi di lecci, querce e ginepri. Sonnino è il classico borgo medievale con un’alta torre a quattro piani, parte del Castello che dominava i vicoli del paese. Stradine tortuose, gradinate, scale addossate alle pareti di edifici in pietra, con archivolti, portoncini e pilastrini. Un vero labirinto di strade che conducevano a 5 porte di accesso.
Un tempo era cinta da mura di protezione con 13 torri semicilindriche, feritoie e percorsi per gli armigeri. Di tutto il suo aspetto medievale restano parte delle mura, la torre già citata e la Chiesa di Sant’Angelo dell’anno 1210, che si rifà al gotico borgognone dell’Abbazia di Fossanova. In pieno centro storico invece c’è ancora la Collegiata di San Giovanni, dell’anno 1200 circa, poi restaurata nel 1604, con all’interno una scultura attribuita al Bernini. Sonnino è conosciuta come la città dell’olio. Tutto attorno distese di ulivi a perdita d’occhio, una delle produzioni eccellenti del Lazio.
La varietà regina di queste terre è l’Itrana, la stessa che dà le famose olive di Gaeta ma anche oli extravergine eccellenti. Ricorda molto la cultivar di Nocellara del Belìce, altra qualità spettacolare. Ci sono dei produttori locali, emigrati in Francia, che la vendono a Parigi, in boccettine di 1/3 di litro, a prezzi da profumo di lusso.
Appena la spedizione azzurra rientrò in Italia, Alessandro Altobelli corse subito al suo paese per festeggiare con parenti e amici quel successo strepitoso. Da allora, ogni tanto si ripetono questi eventi-incontro tra vecchie glorie, amici e fan di Spillo a Sonnino, per festeggiare il ricordo di quel titolo Mondiale. Il 27 aprile dell’anno passato, Alessandro Altobelli è entrato a far parte della Hall of Fame del Calcio Italiano ed ha festeggiato questo premio proprio a Sonnino, tra i suoi amici. Ma già nel luglio del 2022, venne reso omaggio all’anniversario di quella vittoria, quarant’anni dopo.
I festeggiamenti si conclusero con una partitella tra vecchie glorie e una Nazionale magistrati. La ripetizione della stessa che s’era tenuta il 28-29 novembre 2015, quando Alessandro aveva compiuto 60 anni. Anche in quella occasione intervennero calciatori del passato o personaggi del calcio come Tacconi, Gentile, Candela, Marini, Marcolin che vive a Brescia come Altobelli, Bruno Conti, Giancarlo Antognoni, Piccolotti, Muraro, Gigi Maifredi e Xavier Jacobelli.
Sonnino lo celebra sempre con almeno una settimana di feste, tornei e dibattiti nel nome anche del suo titolo mondiale, con 61 presenze e 25 gol in Nazionale. Il tour coinvolge sempre l’intero comune pontino, con incontri tematici sulla carriera, per sensibilizzare gli alunni alla pratica sportiva, e lezioni di tecnica calcistica sui campi. Partecipano agli incontri i vecchi compagni della “Spes Sonnino”, la squadra degli esordi.
Gli inizi li racconta lo stesso Spillo, soprannome che gli venne affibbiato per la figura assolutamente magra . “Me lo mise un maestro elementare che veniva sempre a vedere gli allenamenti dei ragazzi del Latina e mi accompagnò con grande fortuna. Ero uno e 84 per 68 chili, adesso sono 85…”.
Il papà Antonio, scomparso il 5 febbraio nel 2009 “Terminata la scuola media, mi disse che era arrivato il momento di imparare un mestiere. E così mi mandò da un suo amico (Ermanno Meluzzi) che faceva il macellaio. Diventai presto bravo, con la carne ci sapevo fare”. Ed è a questo punto della storia che entra in scena Gaspare Ventre, barbiere di Sonnino: “Fu lui a mettere in piedi la Spes, la squadra del paese. Appena potevo scappavo via dalla macelleria per andarmi ad allenare. Ai bambini che iniziano a giocare dico sempre che se sono riuscito a diventare campione del mondo io, cresciuto in un paese dove non c’era neppure il campo del calcio, possono riuscirci anche loro”.
Quel ragazzino che ogni domenica segna almeno quattro o cinque gol inizia a richiamare l’attenzione degli addetti ai lavori: “I più bravi della squadra eravamo io e Giovanni ‘Giannino’ Bernardini. Un giorno un signore di nome Nando viene al campo per farci firmare un foglio, vuole che andiamo a giocare con il Latina. Non firmo perché a Latina c’è un’azienda, la Fulgorcavi, che ha la sua squadra di calcio. Se mi chiamano, penso, posso giocare e allo stesso tempo avere un lavoro assicurato.
Nando però torna una seconda, poi una terza volta e insieme a quel foglio mi mette sotto agli occhi una banconota da cinquantamila lire. A quei tempi impiegavo una settimana per guadagnare cinquecento lire, mi sembrava una somma incredibile. E così ho firmato ed è stata la mia fortuna”. E Giovanni ‘Giannino’ Bernardini? “Lui poi ha fatto altro, adesso ha un B&B a Sonnino. Quando torno al Paese ci vediamo, ogni tanto riparliamo dei vecchi tempi”.
Il racconto prosegue e dopo gli inizi a Sonnino, Altobelli va a Latina. “Per un anno andai a Latina, proprio dal fratello di Merluzzi: mi avevano accolto come fossi uno di famiglia. Avevo 14 anni e all’epoca non pensavo che il calcio sarebbe diventato il mio mestiere”. La forza che ha consentito a Spillo di insistere ed emergere è stata l’umiltà dei genitori.
“Mio padre faceva il muratore, mamma Giovanna Grossi è sempre stata casalinga. Quando andava a Roma, per papà era come fare un viaggio all’estero… Veniva pagato a cottimo, partiva in pullman alle 4, lavorava magari per 5-6 ore ma poi tornava solo alle 19”. Questo caricava Alessandro di una grande responsabilità verso i genitori. Poi c’era anche la fame, quella della voglia di riuscire e quella vera, dovuta alla miseria. “La fame di arrivare conta. Ho visto ragazzi che si sono persi perché erano giocatori solo da partitella infrasettimanale. Il talento conta, servono anche la passione e lo spirito di sacrificio”.
Da Latina passa un altro treno, direzione Emilia Romagna: “Vado a Cesena a fare un provino. Organizzano un’amichevole, segno e mi metto in luce. Quando sto rientrando a casa mi chiamano per dirmi che mi ha acquistato il Brescia. Pochi giorni prima c’è stato l’attentato in Piazza della Loggia, mia madre non vuole che parta, dice che è pericoloso. La rassicuro, le dico di non avere paura. Che devo soltanto pensare a giocare a calcio”.
Da Latina, a neanche 19 anni passò al Brescia, per 3 stagioni con 26 gol. “Arrivai nel 1974 e presto nacque il tandem con Evaristo Beccalossi: giocava nella Primavera, vinse lo scudetto e regalava numeri. Condividemmo un decennio splendido, segnava e sfornava assist”.
Il suo nome però è legato indissolubilmente all’Inter, dove tra il 1977 e il 1988 ha collezionato 466 presenze, realizzando ben 209 reti e vincendo uno Scudetto e due Coppe Italia: “Dopo il secondo anno a Brescia mi volevano tutti: Milan, Juventus, Inter. La fortuna volle che il presidente del Brescia era Francesco Saleri, tifosissimo dell’Inter. Fu lui ad accompagnarmi a Milano per la firma”.
I ricordi sono affollati di campioni: “Ho giocato con Maradona, Platini, Falcao, Boniek, Junior. Ogni tanto sfoglio gli album Panini degli anni Ottanta e torno a quei tempi. Che tempi! Il compagno più forte che ho avuto è stato Beccalossi, era un genio del calcio. Ed è incredibile che non sia mai stato convocato in Nazionale. I difensori più difficili da superare Gentile e Vierchowod. Quanto dovevo affrontare Pietro dormivo poco la notte, ma per lui era lo stesso”. Difficile trovare qualche somiglianza con gli attaccanti di oggi: “È un’epoca diversa, faccio fatica a fare dei confronti. Lautaro Martinez e Lukaku? Diciamo che ero un buon mix di tutti e due. Ero veloce, calciavo bene con entrambi i piedi e di testa dicevo la mia. Non ero un fenomeno, ma sapevo fare tutto”.
Nell’88 lascia l’Inter per dissidi con Trapattoni e passa alla Juve. “Non ero possente, ma bastavano le mie qualità. Caratterialmente non mi sono mai sdraiato davanti a nessuno: allenatori, presidenti. Il dissidio con Trapattoni mi costrinse a cambiare aria. Avevo un’altra stagione di contratto, con il presidente Ernesto Pellegrini decidemmo di lasciarci in anticipo. Andai agli Europei, segnai alla Danimarca e poi giocai la semifinale, persa contro l’Urss, all’ultima manifestazione prima dello scioglimento. Gli anni erano 32, stavo bene, mi chiamò Giampiero Boniperti e andai a Torino, affrontando il rischio di essere etichettato come traditore. Certo oggi rimane il rimpianto di non aver chiuso all’Inter, avrei meritato quel secondo scudetto, tanto più dei record”.
L’ultima stagione fu nuovamente a Brescia e in serie B, con 32 presenze e 7 gol.
“Ho voluto così, lasciare da dove ero partito. Lottammo anche per la promozione, con il romagnolo Franco Varrella in panchina, poi vice di Arrigo Sacchi in Nazionale, agli Europei dell’86. All’ultima giornata battemmo il Padova per 2-0, salutai con una doppietta”.
Si ritirò nel giugno del 1990, a 34 anni.
Smesso di giocare Spillo s’è dedicato a commentare le partite per televisioni italiane e straniere. Lo si può ascoltare alle radio sportive quando lo chiamano per un parere. Ma recentemente ha deciso di spostarsi il meno possibile e vivere di più in famiglia.
Oggi fa una vita molto riservata e non si hanno molte informazioni sulla moglie, mamma dei due figli Andrea e Mattia, che ha provato a seguire le orme del padre nel mondo del calcio. Pur essendo molto legato a Sonnino, da molti anni vive a Brescia e ha più volte dichiarato di sentirsi bresciano a tutti gli effetti.
Quando gli chiedono se si rivede in qualcuno dice di no. I tempi sono diversi ma anche il calcio è cambiato. “I confronti si fanno in età diverse, vediamo tante partite, ci sono gol e caratteristiche differenti, non tanti si avvicinano ai miei numeri. Non sono stato superiore a nessuno, ma nessuno può dire di essere stato migliore di me. Vedo statistiche, giornalisti che fanno classifiche, io non le amo”.
Quando pensa ai giovani che non lo conoscono si lascia andare alle sue esperienze e agli incontri avvenuti a Sonnino. “La mia forza è sempre stata la normalità. Alcuni bambini presenti a Sonnino sono andati a vedere i video delle mie azioni, dei miei gol, assieme ai genitori. Ho scoperto ancora una volta di più, in questi giorni, come la gente mi apprezza: non per le vittorie ma per la serietà. In tanti mi avrebbero lasciato il proprio portafoglio, si fidano”. Esile ma potente, preciso e tecnicamente molto valido, Spillo Altobelli è ancora oggi l’attaccante italiano ad aver segnato il maggior numero di gol nelle coppe Europee.
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