Croppi, lei ha annunciato ormai da tempo una sua candidatura indipendente per la carica di sindaco di Roma, crede che l’idea del Pd di aprire le primarie ad esterni possa essere un’opportunità anche per lei?
Le primarie vere sono soltanto quelle che si fanno negli Usa, sono regolate per legge e danno diritto di voto all’intero corpo elettorale. Quelle che il Pd chiama primarie (con regole che cambiano di volta in volta) sono metodi di selezione interna, determinati dalla forza degli apparati.
Però si è rivelato un metodo vincente?
Ne è convinto? Gli unici casi in cui il candidato uscito dalle primarie ha vinto è quando, a sorpresa, ha stravolto i pronostici e sconfitto gli apparati, come è successo in Puglia con Vendola, a Genova con Doria e a Milano con Pisapia. In tutti gli altri casi (vedi Napoli e Palermo) ha vinto chi si è candidato contro il prescelto dalle primarie. Poi ci sono tre casi di un’evidenza solare: Bersani ha vinto le primarie e ha perso le elezioni; Ambrosoli, in Lombardia, esprimeva una forte spinta civica e con il sostegno del Pd probabilmente avrebbe vinto, lo hanno costretto a passare attraverso le primarie depotenziandolo fino a farlo perdere; l’unico candidato del Pd che ha vinto le elezioni in questo turno è stato Zingaretti che le primarie non le ha fatte.
Quindi il destino per Roma, secondo lei, è uno scontro Pd – Grillo?
Assolutamente no, è per questo che confermo la mia candidatura. Il voto massiccio al Movimento 5 Stelle dimostra che tra Pd e Pdl c’è uno spazio enorme, probabilmente maggioritario, di elettori che non si sentono rappresentati e votano in base a quello che offre il “mercato elettorale”.
Certo se a Roma il confronto fosse fra un candidato del Pd e uno del Pdl probabilmente i grillini raddoppierebbero il consenso, è per questo che bisogna offrire agli elettori la possibilità di scegliere un sindaco e una squadra di governo indipendente, onesta ma con l’esperienza sufficiente per garantire la soluzione dei gravi problemi della città.
Quindi cosa dovrebbe fare secondo lei il Pd?
Il partito di Bersani è coinvolto nella gestione capitolina degli ultimi dieci anni e porta una parte della responsabilità del disastro: è per questo che gli elettori votarono in massa per Alemanno. Ora dovrebbe capire quella lezione, come quella rappresentata dal voto a Grillo (il Pd a Roma ha perso 230.000 voti). Al suo interno esistono risorse culturali e politiche indispensabili per una rilancio della città, ma deve liberarsi dalle logiche di apparato che lo vincolano. Le primarie, aperte o chiuse che siano, solo soltanto un espediente per affermare il primato delle nomenclature.
Dunque o il Pd capisce che deve veramente aprirsi alle spinte di rinnovamento e cercare interlocuzioni che aiutino a ricostruire un rapporto saldo di fiducia tra gli elettori e chi governa, o è destinato ad un declino di significato politico prima ancora che di consenso.
Lei pensa di poter essere un’alternativa?
Io sento il peso di una responsabilità, di cui farei anche a meno, quella di cui mi caricano le tante persone che hanno sostenuto l’idea di una mia candidatura, qualcuno deve pur assumersi il compito della rappresentanza di quella parte di città che non ne può più e che, in mancanza di altro, si rivolge alla protesta. Penso che il mio impegno, e quello di chi insieme a me si propone per governare Roma, sia una garanzia per la maggioranza dei romani. Se uguale senso di responsabilità si manifestasse da parte delle forze politiche tradizionali sono certo che si potrebbero trovare, insieme, le vie d’uscita per affrontare un futuro che si presenta veramente difficile.
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