Spray al peperoncino. Il divieto di vendita è pura ideologia in stile PD
La scusa sono i possibili abusi. E a sollecitare lo stop è il presidente del Consiglio regionale, Daniele Leodori
Sei una donna. C’è qualcuno che sta per aggredirti, o che comunque ha tutta l’aria di essere sul punto di farlo.
Tu che dici? È meglio averlo o non averlo, lo spray al peperoncino? È meglio avere con sé un qualche tipo di arma, o non averne proprio nessuna?
La questione sembra talmente ovvia che doverla discutere è quasi imbarazzante. È evidente che sia preferibile essere in grado di reagire, in caso di necessità. Anche se poi dovrebbe esserlo altrettanto che non stiamo parlando di una bacchetta magica e che fronteggiare efficacemente un assalitore dipende da tanti fattori, a cominciare dalla sua effettiva pericolosità e dalla determinazione di chi lo affronta.
Invece no. Questa chiarezza non è condivisa da tutti. E il guaio, qui nel Lazio, è che a non condividerla è anche il presidente del Consiglio regionale, il PD Daniele Leodori. Il quale ha inviato ai sindaci del territorio una lettera in cui li sollecita a prendere due iniziative: la prima non nulla di speciale, visto che provvedimenti analoghi sono più o meno di routine, e consiste nel vietare che le bombolette siano portate in luoghi affollati a causa di spettacoli eccetera; la seconda, invece, si spinge molto oltre e prevede addirittura il divieto di vendita durante il periodo delle festività.
Scrive Leodori: “Anche a Roma e in alcune province del Lazio in questi ultimi 2 anni, sono cresciuti i casi di spray usato come strumento di offesa e molti sono i casi d’abuso per bravata, ovvero per vedere che effetto fa in un bar, in una discoteca o in un concerto”. Lo stop assoluto alla commercializzazione avrebbe, perciò, “l’obiettivo di limitare la diffusione in un periodo particolare dell’anno e di prevenire il possibile uso sconsiderato del prodotto".
Spray al peperoncino? Ma no: meglio la prevenzione…
Ufficialmente la sortita di Leodori è dovuta alla cautela. Con ogni probabilità, invece, la contrapposizione è di principio. Più che dalla sola prudenza legata a un periodo specifico dell’anno, e alla forte impressione causata dalla tragedia della discoteca di Corinaldo, la misura sembra discendere da un’avversione generale per l’uso delle armi a scopi di difesa personale. E infatti Loretta Bondì, direttrice dei progetti internazionali di BeFree dal 2013 e membro del consiglio direttivo della Casa Internazionale delle Donne di Roma. (nonché ex funzionaria dell’Alto Commissariato ONU per i diritti umani), lo dice pari pari: “Io non credo che sia un’arma efficace per le donne, l'unico deterrente davvero efficace sarebbe la prevenzione”.
Ma sentite il seguito: “Quando vivevo in America, a Washington, dove era legale l’uso dello spray, la polizia mi spiegava che se ti trovi di fronte a una persona che vuole farti del male, hai tempi di reazione lunghi, con il malintenzionato che ti previene, facendoti magari ancora più male perché hai tentato di reagire”. Conclusione: “Non credo che con strumenti atti a offendere si possa fare qualcosa di utile per la violenza contro le donne: altrimenti le donne dovrebbero andare in giro armate di pistola e coltello. Ma in un clima politico in cui si dice alla cittadinanza 'Armatevi e difendetevi da soli: ne avete tutto il diritto', non mi meraviglia affatto che ci siano vendite così alte di questi prodotti”.
Salvini e Raggi: ritorno al buonsenso
Dice il leader della Lega, nonché ministro degli Interni: “Il problema non è lo strumento ma l'uso che se ne fa. Se uno va in piazza con lo spray al peperoncino è un cretino che prima va curato e poi va portato per due giorni al fresco così gli passa la voglia”.
La sindaca di Roma è dello stesso avviso. Fonti a lei vicine affermano che la Prima cittadina “non intende vietare uno strumento che le donne utilizzano per difendersi e che ha consentito a tante ragazze di salvarsi". L’alternativa, invece, è “punire severamente chi ne fa un uso distorto e criminale”.
Esatto.
Ma facciamo qualche passo in più e arriviamo alla radice del problema. La possibilità di difendersi da soli non è una “benevola” concessione delle autorità, ma il riconoscimento giuridico di un istinto sacrosanto. Di una spinta alla sopravvivenza che è inscritta nel dna di ogni essere vivente. E che può venire meno solo in quegli individui che si siano lasciati talmente infiacchire dalla società attuale, con tutte le sue chiacchiere liberal-progressiste, da smarrire le verità elementari dell’esistenza.
L’autodifesa è un diritto naturale. E rispetto alle forze dell’ordine il rapporto dovrebbe essere di integrazione reciproca. Dove non arriva il singolo, sopravvengono la polizia, i carabinieri e quant’altri se ne occupino per mestiere. Dove non arrivano i professionisti, che ovviamente non possono essere onnipresenti e presidiare ogni singola casa h24 e tutelare all’istante ogni persona aggredita, ciascuno ha la facoltà (e in un certo senso il dovere) di provvedere da sé.
Se poi si ha paura che i cittadini non siano all’altezza di usare le armi con cognizione di causa e con il dovuto senso di responsabilità, ci si domandi il perché. Perché siamo così pieni di soggetti nevrotici e infantili. Perché non cresciamo più degli uomini e delle donne che siano davvero adulti e capaci, in quanto tali, di non essere né delle vittime inermi né dei pazzoidi che sparerebbero per ogni nonnulla.