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SS Lazio, 41 anni dal primo scudetto: “Nel segno di Maestrelli”

A distanza di 41 anni sono ancora lì a scavare tra i ricordi più cari e soprattutto a emozionarsi fino alle lacrime, nel ripensare a quegli indimenticabili giorni dello scudetto del 1974 e soprattutto a personaggi unici e forse irripetibili come Tommaso Maestrelli. Nella giornata di oggi, il 12 maggio, ricorrono i 41 anni dalla conquista del primo scudetto della Lazio e Felice Pulici ha avuto la bella sorpresa di essere messo in contatto, alla trasmissione "Roma ore 10", con il figlio di Maestrelli, Massimo. Il conduttore Francesco Vergovich, nel ricordare l'importante ricorrenza, ha fatto in modo di mettersi in contatto con il figlio dell'indimenticato allenatore.

Una volta intervenuto, Felice Pulici, non è riuscito a trattenere le lacrime. "E' un momento di grandissima emozione – dichiara commosso – non me l'aspettavo". Il legame tra l'allenatore e quel gruppo tanto forte quanto sopra le righe è stato qualcosa che ha travalicato di gran lunga il semplice rapporto tra mister e calciatori. Basta ascoltare le parole di Massimo, figlio del leggendario Tommaso, per rendersene conto: "Pulici è una delle persone più sensibili che abbia conosciuto, sono lusingato di averlo conosciuto, frequentato e che sia stato un calciatore allenato da mio padre. All'epoca dello scudetto avevo 11 anni, ricordo tutto".

Nonostante fosse un bambino Massimo è di fatto cresciuto insieme ai calciatori del '74, insieme al suo fratello gemello Maurizio, purtroppo prematuramente scomparso. La ragione di questo contatto ravvicinato con i calciatori allenati dal padre è molto semplice: "Per papà – afferma – il confine tra famiglia e squadra era molto sottile, a casa c'era ogni giorno un calciatore. Venivano da lui per rivelargli i loro problemi: c'era chi era infortunato, chi aveva problemi con la moglie e chi con un compagno".

 "Papà -racconta Massimo – parlava poco di calcio ma essendoci a pranzo e cena sempre un calciatore non si staccava mai. Per lui la Lazio e soprattutto i giocatori sono stati la sua famiglia e la sua famiglia è stata la Lazio e noi eravamo la sua squadra. Ha rifutato la Nazionale e la Juve per non lasciare la Lazio che rischiava di retrocedere in B".

Per Massimo e Maurizio era un sogno essere a contatto con i calciatori, al punto che assistevano a ogni allenamento e addirittura scendevano negli spogliatoi durante le partite. A volte erano sin troppo scalmanati, come avvenne durante una partita ai tempi in cui Maestrelli allenava il Foggia: "Eravamo dietro la porta nella quale era piazzato il portiere avversario – narra divertito Massimo -al Foggia venne negato un rigore netto. Tra la fine del primo e l'inizio del secondo tempo aspettammo che le squadre rientrassero negli spogliatoi, bussammo alla porta dell'arbitro Panzino (lo stesso di Lazio-Foggia, la partita che il 12 maggio 1974 regalò lo scudetto alla Lazio) e dicemmo 'cornuto!'. Lui si infuriò e cominciò a gridare, papà credeva che lo avessero aggredito e invece ci trovò davanti all'arbitro che chiedeva fossimo mandati via. Dopo ci sentissimo un po' in colpa. Quando poi papà e l'arbitro si incontravano lui chiedeva se ci eravamo calmati. Ci mise in punizione per dieci giorni, non portandoci agli allenamenti del Foggia, cosa dolorosissima per noi".

Ma questo non incrinò la stima personale tra gli arbitri e Maestrelli, al quale tutti hanno riconosciuto una signorilità fuori dal comune. Per comprendere il rispetto che si era guadagnato l'allenatore del primo scudetto biancoceleste basta ascoltare questo aneddoto di Massimo, legato al periodo della malattia che ha stroncato Tommaso: " Papà – ricorda – si era temporaneamente ripreso dalla malattia, contrariamente a quanto dicevano i medici, secondo i quali non avrebbe mai più potuto indossare la tuta e tornare in campo. Alla fine del 1975 lui ci riesce. La Lazio perde 1-0 in casa contro il Napoli, che segna su calcio di punizione dubbio. Il giorno dopo l'arbitro Casarin chiamò a casa e chiese scusa. Disse che la sconfitta non era stata colpa sua ma era dispiaciuto per aver visto la sua faccia dispiaciuta perché forse quel calcio di punizione non doveva essere assegnato".

Ma la giornata di oggi è l'occasione per ricordare soprattutto momenti di felicità, così Pulici strappa un sorriso ricordando che "i gemelli Massimo e Maurizio Maestrelli sono stati a loro modo protagonisti anche loro dello scudetto. Si posizionavano vicino al corridoio vicino la spogliatoio dell'arbitro per rompergli le scatole!". Si passa, poi, a ricordare la grande impresa compiuta da Chinaglia e compagni: " Fu uno scudetto imprevedibile – afferma il numero uno del 1974 – l'anno prima arrivammo terzi da neopromossi, con lo scudetto sfumato a Napoli all'ultima giornata. Nonostante la delusione, riuscimmo a ripetere l'exploit e non era affatto facile risalire sul treno dell'alta classifica. C'era il rischio che dopo l'occasione persa potesse sfumare l'atmosfera magica che si era creata. Invece fummo bravi a crederci.  Purtroppo ho il grande rammarico di non aver giocato l'allora Coppa Campioni, a causa dei disordini avvenuti nell' incontro di Coppa Uefa contro l'Ipswich Town. Ci fu una rissa negli spogliatoi a fine partita, li prendemmo a calci. Fu uno sbaglio".

Non poteva mancare un riferimento ai rapporti tra i giocatori di quel gruppo, da tutti definito una "banda di matti" che discuteva, rivaleggiava ma la domenica entrava in campo come un solo uomo: " Wilson e Chinaglia – racconta Pulici –  erano due figure importantissime il primo la mente il secondo il braccio. Uno era il capitano, l'altro il trascinatore. Anche loro volevano avere la leadership della squadra ma tutti erano primi attori, ognuno voleva essere più importante dell'altro ma io ero il vero numero uno, anche perché indossavo…la maglia numero 1!

"Ma in realtà – riconosce l'ex numero uno- il vero leader era Tommaso Maestrelli, colui che organizzava tutto. Con noi stabiliva una connessione speciale, riuscendo a risolvere i nostri problemi non solo in ambito calcistico ma anche nel campo familiare. Sapeva che se c'erano problematiche extra calcistiche noi giocatori non saremmo scesi in campo sereni". Un vero padre, che come ha detto il figlio Massimo non ha mai fatto mancare l'affetto alla sua famiglia, creandone poi con il tempo anche un'altra: quella dei suoi amati ragazzi del 1974, che ancora oggi si commuovono pensando a lui.

Redazione

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