Strage di Fidene, pistola rubata dal tiro a segno: si riaccende il tema sicurezza nei poligoni
Come ha fatto Campiti a ottenere la pistola al poligono? L’ha rubata o qualcuno gliel’ha consegnata?
L’uomo che ha compiuto la strage di Fidene è ora chiuso nel carcere di Regina Coeli, Claudio Campiti attende l’interrogatorio di garanzia che sosterrà a giorni.
Il suo legale si trincera dietro il “no comment” anche perché la difesa di un caso di triplice omicidio aggravato e triplice tentato omicidio non è compito semplice. Nella mattina di domenica 11 dicembre, il 57enne ha sparato sette colpi con una pistola semiautomatica “rubata” appena 40 minuti prima, nel poligono di tiro a Tor di Quinto.
La strage di Fidene
Con un colpo ciascuno ha ucciso Sabina Sperandio, Elisabetta Silenzi e Nicoletta Golisano. Nella sua follia l’uomo ha ferito in maniera grave Fabiana De Angelis e in maniera meno grave Bruna Martelli e Silvio Paganini, prima che la pistola si inceppasse e permettesse ad alcuni presenti di intervenire immobilizzando l’aggressore. Una scena da film, di quelli brutti all’incrocio tra via Colle Giberto e via Sellapetrona dove, una volta l’anno i condomini del consorzio Valleverde del comune di Ascrea, dal reatino, si riuniscono in assemblea.
Una scelta, quella di riunirsi nel gazebo esterno al bar tavola calda “Il Posto giusto” nel quartiere Fidene, lontano da Ascrea, perché quelle del condominio sono quasi tutte case estive e i proprietari abitano proprio in zona Fidene.
Inoltre una delle condomini era amica e cliente del proprietario del locale che ha permesso la riunione, a cui hanno partecipato diverse decine di persone, anche se il bar era chiuso. A quella riunione Campiti è arrivato armato e ha iniziato a sparare seminando morte e feriti. Prima disarmato da Paganini, poi immobilizzato e portato via dai carabinieri, il 57enne continuava a urlare frasi di odio e di accuse confuse. I corpi senza vita di due donne sono caduti a terra, uno è rimasto sulla sedia fina a quando la polizia mortuaria non lo ha rimosso nel tardo pomeriggio.
Il giallo della pistola
Il giallo della pistola, una Glock 45, utilizzata per compiere la sparatoria, è uno degli elementi intorno a cui ruota tutta la vicenda.
Ciò che è certo è che a Campiti, nel 2018, era stato negato il porto d’armi sportivo da parte della Prefettura di Rieti, su segnalazione dell’Arma dei carabinieri. Da qui l’iscrizione al poligono di Tor di Quinto, probabilmente per ovviare alla mancanza di un’arma. Resta un mistero, tuttavia, come l’uomo sia riuscito a entrare e uscire dalla struttura senza che nessuno se ne accorgesse con la pistola, ottenuta in circostanze ancora da accertare. Intanto il poligono di Tor di Quinto è stato messo sotto sequestro dalla procura di Roma.
Il tema della sicurezza nei poligoni
La sicurezza nei poligoni di tiro è stato uno dei temi affrontati dal Comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza pubblica, convocato questa mattina dal prefetto Bruno Frattasi, d’intesa con il sindaco Roberto Gualtieri, e a cui hanno partecipato l’assessora capitolina alle Politiche per la sicurezza, Monica Lucarelli, e il questore di Roma, Carmine Belfiore. Alla luce della vicenda, sarebbe opportuna “una stretta, sia dal punto di vista legislativo che amministrativo, sull’utilizzo delle armi nei poligoni”, ha commentato Gualtieri.
Una tematica che andrà affrontata anche a livello nazionale, ma già a livello comunale “programmeremo controlli amministrativi, che possiamo fare, per verificare la regolarità della conduzione dei gestori delle strutture”, ha aggiunto il prefetto Frattasi.
Nessun precedente a carico di Campiti
Resta lo choc per quanto avvenuto, un episodio che secondo la prefettura e il Comune di Roma non era prevedibile in nessun modo, in quanto a carico del 57enne non c’erano precedenti penali e non erano presenti altri segnali che potessero anticipare il raptus omicida, se non il contenzioso che portava avanti da anni con il consorzio del reatino.
Da 7 anni Claudio Campiti non pagava i contributi al Consorzio Valleverde e aveva un decreto ingiuntivo per 1.700 euro. Lo ha detto agli inquirenti la presidente del Consorzio rimasta ferita ieri mattina nell’aggressione a mano armata costata la vita a tre donne in via Colle Giberto in zona Fidene a Roma. La presidente ha raccontato anche di un secondo decreto ingiuntivo, anche questo rimasto non pagato. Lo si apprende dal decreto di fermo della procura capitolina.
Un talento del bersaglio
“Trenta colpi sul bersaglio su 30 sparati” è il miglior risultato raggiunto da Claudio Campiti nel poligono di tiro di Tor Vergata. Lo si legge nel decreto di fermo che la procura di Roma ha fatto al 57enne che ieri mattina ha ucciso tre donne in un bar a Fidene ferendo altre tre persone. Dallo stesso documento si apprende anche che l’uomo indagato per triplice omicidio e triplice tentato omicidio dal 9 novembre 2019 ha un diploma di idoneità al maneggio delle armi corte. Ieri mattina “Ha chiesto espressamente una Glock calibro 45 che aveva già operato in passato” al poligono di tiro. Lo ha raccontato agli investigatori un testimone, ma “non si è visto sulla linea di tiro”.
La rabbia contro la dirigenza del Consorzio
Nel frattempo, è stato posto un bouquet di gerbere e rose bianche, avvolto da carta rosa, a fianco del gazebo esterno al bar “Il posto giusto”, a Fidene, dove sono avvenuti gli omicidi. “Mentre si svolgeva la riunione è entrato sbattendo la porta, si è chiuso dentro e ha iniziato a sparare, iniziando dalla dirigenza del consorzio”, ha raccontato Maurizio, un residente del consorzio che è intervenuto a bloccare l’assassino. “Urlava: mafiosi mi avete lasciato senz’acqua”.
È entrato mentre il segretario stava leggendo, lui è stato il primo a buttarsi per provare a fermarlo ma è stato ferito. Così, io e altri quattro o cinque condomini gli siamo saltati addosso per levargli l’arma e lo abbiamo immobilizzato ma era una cosa disumana, aveva una forza inaudita. Io gli stavo sopra con le ginocchia, alcuni condomini sono riusciti a uscire, altri si sono sentiti male”, ha concluso l’uomo. “Che fosse strano si sapeva ma nessuno pensava che potesse arrivare a questo”, ha affermato la moglie di Maurizio.
La perdita del figlio
“Lo giustificano perché gli è morto un figlio – ha aggiunto – ma non è che tutti quelli a cui muore un figlio vanno in giro ad ammazzare la gente. Mio marito, non so quale santo l’abbia aiutato”, ha concluso la donna.
Per quanto riguarda la sua capacità di intendere e volere, la professoressa Letizia Caso, associata di psicologia giuridica all’Università Lumsa di Roma, interpellata da “Agenzia Nova”: “Lui pianifica la sua azione in maniera dettagliata. Difficile poter sostenere l’infermità mentale totale. Probabilmente chi studierà bene il caso potrà sostenere la semi infermità ma è presto per dirlo”.