Suicidi in carcere. Alessio Scandurra: “hanno sbagliato ma chi si suicida ha una famiglia. O no?”
La nostra intervista ad Alessio Scandurra di Antigone onlus, coordinatore dell’osservatorio sulle condizioni di detenzione. Un viaggio nelle carceri della regione Lazio
È di stamattina la notizia dell’ennesimo suicidio in carcere, Giovanni Carbone, detenuto a Lanciano, che aveva ucciso la compagna qualche settimana fa a Chieti, aveva anche espresso la volontà di uccidersi al momento dell’arresto.
Parliamo della condizione delle carceri con Alessio Scandurra, coordinatore dell’osservatorio sulle condizioni di detenzione per l’associazione Antigone.
–Purtroppo tante persone che si sono tolte la vita nel corso del 2022 avevano fatto dei tentativi, compiuto atti di autolesionismo, erano persone “attenzionate”. Ma la domanda è, per quanto tempo riesci a sorvegliare una persona 24 ore su 24? Se esiste la volontà di compiere un gesto così estremo la verità è non riesci a impedirglielo. Bisogna arrivare prima che si decida, cercare di farlo venire meno a quella volontà. Ci sono casi che sono finiti sotto indagine di suicidi che avevano diagnosi di disturbi psichiatrici importanti ed evidenti.
Come mai il sistema carcerario non riesce a intercettare questi malesseri?
– L’amministrazione penitenziaria e tutte le persone che lavorano in carcere mettono tanto impegno per evitare queste cose, anche per loro è una grande tragedia, il contrasto a questo fenomeno è in cima alle loro priorità e questo va riconosciuto.
Assistere al suicidio di queste persone è una tragedia per chi ci lavora a contatto ma anche per i compagni di cella, tutti si sentono in parte responsabili di non essere riusciti a “salvare” una persona.
Immagini di vedere una persona che sta condividendo una parte di vita con lei, stare psicologicamente male. Poi magari ci provi a tirarlo fuori dalla cella, a coinvolgerlo nelle attività del carcere, qualche volta un po’ te ne freghi come facciamo tutti. Un giorno ti svegli e quella persona si è suicidata.
C’è un filo conduttore nelle storie di queste persone che scelgono di compiere un gesto così?
-Ogni detenuto è diverso dagli altri, ci sono molteplici storie che li hanno, per molti motivi, condotti in carcere. La sofferenza e il malessere delle persone nel carcere è reale. Non dobbiamo pensare che le persone che si tolgono la vita fossero in condizione di malessere mentre chi “resiste” sta facendo la bella vita in carcere. Queste persone hanno tutti un po’ la stessa caratteristica. Sono gli ultimi, quelli che fuori dal carcere non hanno niente, che vedono di fronte a loro un futuro fuori fatto di niente. Rapporti famigliari di grande degrado che durante la detenzione peggiorano ancora di più, e come potrebbero migliorare con 10 minuti di telefonate a settimana o se per una visita i tuoi cari devono fare anche 250 km.
Con le norme emergenziali pandemiche, carceri chiusi ma 5 – 6 telefonate a settimana. Ora siamo tornati al vecchio sistema, ma immagini che molti detenuti non sono dentro da molti anni e per loro non è un “ritorno” alla condizione di prima, per loro è una perdita dei legami.
Parliamo di una emergenza suicidi?
-Il dato dei suicidi in carcere è un dato strutturale, fa parte della storia del sistema penitenziario italiano. Il tasso di suicidi nelle carceri è incomparabile rispetto al tasso di suicidi cui assistiamo fuori. In questo momento però siamo nell’eccezionalità dei numeri.
-Il paradosso è che abbiamo meno detenuti ora che nel passato, in momenti storici di grande affollamento non abbiamo raggiunto numeri come quelli di questo 2022.
Esiste un pregiudizio per cui, in fondo, la percezione di un suicidio in carcere non è grave come un suicidio che avviene fuori?
-Sicuramente sì, banalmente se prendi una persona che sta al bar, quello che dice “un po’ se lo merita” e lo porti a fare un giro di due ore in un carcere, senza che debba vedere situazioni estreme, vedrai come cambia percezione.
-Il carcere è un luogo molto astratto, un luogo fatto di niente dove ognuno di noi può coltivare la propria idea di cosa accade dentro le mura.
-L’opinione che si ha non è sulle persone vere che sono lì. Quando porti le persone dentro, l’atteggiamento cambia. È come aprire gli occhi e scoprire improvvisamente che ci sono delle persone vere lì dentro. Per quanto queste persona possano aver sbagliato, ma coloro che si sono suicidati erano mariti di qualcuno, figlii di qualcuno. Non possiamo ignorarlo no?