A prima vista sembra una denuncia in piena regola, quella lanciata da Oxfam e immediatamente ripresa dai media: 26 super miliardari che dispongono di una ricchezza spropositata, pari a quasi la metà di quella detenuta dalla popolazione mondiale più povera.
Gli scopi di Oxfam, a loro volta, sembrano nobili. Sul sito internazionale campeggia il motto “The power of people against poverty” (Il potere della gente contro la povertà), mentre sulla versione italiana le linee guida e gli obiettivi vengono fissati in questi termini: “Denunciamo le cause dell’ingiustizia della povertà: disuguaglianza; discriminazione contro le donne; cambiamento climatico. Per farlo, operiamo a 360° nel Nord e nel Sud del mondo, mettendo le donne al centro (il grassetto è nell’originale, ndr). Entro il 2030 vogliamo eliminare del tutto la povertà. Siamo operatori, volontari, donatori, istituzioni e aziende, uniti da questo comune obiettivo”.
Un’attività meritoria, quindi? Molto meno di quanto possa apparire. Anzi, per i motivi che vedremo tra pochissimo, la prospettiva è addirittura sballata. Talmente sballata da diventare controproducente.
La falla, per non dire il trucco, è nella premessa che si dà per acquisita. E che perciò rimane nell’ombra.
Concentriamoci sul sottinteso. Il sottinteso è che ci possano essere dei correttivi al modello economico dominante. Della serie: si è stati un po’ disattenti, rispetto ad alcune dinamiche e a determinati effetti, ma si può ancora rimediare. Per esempio: se alzassimo anche solo leggermente la tassazione a carico dei super ricchi, si otterrebbero delle risorse non trascurabili da destinare agli indigenti. I Paperoni rimarrebbero tali, ma i più disastrati fra i paperini sarebbero sollevati dalla miseria.
La verità è assai diversa. La verità è che l’odierno assetto dell’economia globalizzata non è così terribilmente iniquo per la sottovalutazione di alcuni dei suoi effetti, ma perché è stato allestito, e imposto, esattamente a questo scopo. Quando si parla di modello dominante bisognerebbe avere ben chiaro che “dominante” non equivale solo a “prevalente”. Non siamo di fronte a una tendenza che si è affermata in modo spontaneo. Tutto il contrario. Quello che ci si staglia davanti (anzi: tutto intorno) è l’esito di una strategia precisa e di lunghissimo corso.
Il vero significato di modello “dominante” è che il suo scopo consiste, appunto, nel dominio di pochi su tutti gli altri. La concentrazione del denaro è concentrazione di potere. Il punto non è il lusso sfrenato che si può concedere un plotone di Re Mida che sguazzano nell’oro. Ma è la pressione che si può esercitare, tramite il controllo dei capitali, sulla vita degli altri.
L’altro abbaglio è focalizzare l’attenzione sulle persone fisiche. Jeff Bezos, il proprietario di Amazon che sta in cima alla classifica dei super ricchi, “vale” 112 miliardi di dollari. Un singolo fondo di investimento come Black Rock controlla 6300 miliardi di dollari. E il sistema bancario?
Il problema non è (solo) la redistribuzione del reddito. Il problema è che siamo ingabbiati nell’idea che le nostre vite, individuali e collettive, debbano essere votate al lavoro e al consumo. La ricchezza – una volta che si siano soddisfatti i bisogni primari, ossia restare vivi e in buona salute – non consiste nell’avere più soldi da spendere, ma più tempo da utilizzare. Per migliorarsi interiormente. Per sviluppare i propri talenti. Per armonizzarsi con sé stessi e con le persone che ci sono affini.
Il limite insormontabile di Oxfam, e di qualsiasi altra organizzazione “solidaristica” e non politica,, è che si ripropone di mitigare le conseguenze dell’attuale stato di cose, senza risalire davvero a ciò che le ha determinate. Lo abbiamo visto in apertura. Oxfam Italia afferma che “le cause dell’ingiustizia della povertà [sono]: disuguaglianza; discriminazione contro le donne; cambiamento climatico”.
Non è così. Queste non sono le cause, bensì gli effetti. Le cause – anzi: la Causa per eccellenza – è aver permesso che l’economia liberista imponesse le sue logiche di sviluppo infinito e di massimo profitto.
La tragedia, con risvolti di commedia e di farsa, è che i paperini aspirano in cuor loro a diventare dei Paperoni. Anche se poi si accontentano dell’automobile “grossa”, della casa “fica”, della vacanza “deluxe”. O di qualsiasi altra imitazione su scala ridotta di quelle “vite di sogno” che rimarranno irraggiungibili.
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