Supercoppa Italiana. Ohibò: in Arabia Saudita le donne sono discriminate
Da Salvini alla Boldrini, e a molti altri, i politici nostrani scoprono l’acqua calda. E chiedono di non disputare la partita
Adesso si grida allo scandalo: in Arabia Saudita, dove il 16 gennaio si giocherà il match tra Juventus e Milan per l’assegnazione della Supercoppa Italiana, le donne sono discriminate e il loro ingresso allo stadio non è libero.
Nel caso specifico, come attesta un comunicato ufficiale della Lega di Serie A, le restrizioni locali si applicano anche alle spettatrici provenienti dall’estero. Che potranno accedere solo ai settori denominati “famiglie”, mentre i maschi, figurarsi, potranno andarsene dove gli pare.
Era una circostanza imprevedibile? Manco per idea. Tutto a un tratto, però, i politici nostrani si sono avveduti del problema (o, più probabilmente, delle opportunità propagandistiche connesse a una levata di scudi) e si è scatenato un vespaio. Da destra a sinistra, e passando per il centro, hanno preso a fioccare le invettive sull’oscurantismo islamico. E ci si è spinti addirittura a sollecitare un “gran rifiuto”: che la partita non si disputi affatto, acciocché non vi sia nessun avallo di quelle odiose imposizioni sessiste.
“Ma che schifo è? – si chiede su Facebook Giorgia Meloni, la presidente di Fratelli d’Italia – Abbiamo venduto secoli di civiltà europea e di battaglie per i diritti delle donne ai soldi dei sauditi? La Federcalcio blocchi subito questa vergogna assoluta e porti la Supercoppa in una nazione che non discrimina le nostre donne e i nostri valori”.
Laura Boldrini ricorre invece a Twitter. E “cinguettuona” (neologismo, e crasi, tra “cinguetta” e “tuona”) quanto segue: “Le donne alla Supercoppa Italiana vanno allo stadio solo se accompagnate dagli uomini. Ma stiamo scherzando? I signori del calcio vendano pure i diritti delle partite ma non si permettano di barattare i diritti delle donne!”.
Matteo Salvini è pure lui su Facebook, ma in diretta. E dichiara: “Che la Supercoppa italiana si giochi in un Paese islamico dove le donne non possono andare se non accompagnate dagli uomini è una tristezza, una schifezza. Io quella partita non la guardo, è un calcio servo di business e televisione. Un futuro simile in Italia per le nostre figlie non lo voglio”.
Il florilegio potrebbe continuare, e chi voglia ampliarlo potrà utilizzare, ad esempio, questa ampia panoramica curata dall’Agenzia Dire, ma noi andiamo oltre. Per ricordare a tutti i novelli paladini dei Diritti Femminili Negati, due-tre-quattro cose che evidentemente non hanno ben chiare: visto che si imbizzarriscono all’improvviso per dei vizi che al contrario sono sotto gli occhi di tutti. E ormai da un sacco di tempo.
Supercoppa Italiana. Business planetario
Domanda: perché una partita di calcio tutta italiana, ossia tra squadre italiane e per un trofeo italiano come la Supercoppa Italiana, si va a disputare in Arabia Saudita?
Risposta: per i soldi. Per i fottuti, dannatissimi soldi. Che hanno invaso il mondo del calcio e lo hanno snaturato. Trasformandolo da sport a show. Da festa popolare con salde radici territoriali, e comunitarie, a business planetario e apolide. Le squadre come compagnie di giro che vanno a esibirsi dovunque ci sia un ingaggio: vedi i tour estivi per giocare ridicoli tornei negli USA o in Cina, quando la preparazione è appena iniziata e sarebbe molto più giusto e naturale proseguirla a casa propria.
Vedi, appunto, la Supercoppa Italiana. Che nelle ultime nove edizioni si è giocata all’estero per ben sei volte (tre a Pechino, due a Doha e una a Shangai). Siccome gli organizzatori locali pagano di più, si accetta di buon grado e si parte. Tanto, diranno in molti, la partita la vediamo solo in televisione e quindi che cosa ce ne frega, se si disputa dentro i confini nazionali o fuori?
Già: che cosa ce ne frega?
Ce ne frega – ce ne dovrebbe fregare – perché così diventiamo sempre più passivi. Perché ci riduciamo a ingordi consumatori di trastulli a domicilio. Spettatori a caccia di gratificazioni imbastardite. “Sportivi” da divano che pur di ottenere la loro imprescindibile dose di droga emozionale accettano senza batter ciglio che la sostanza base venga tagliata malamente con ogni sorta di additivo.
Voilà: le squadre che assomigliano sempre di più a dei cast cinematografici, in cui gli attori vanno e vengono. E cambiano maglia senza esitare appena c’è qualcuno che li paga di più. I tifosi che, di riflesso, non si affezionano più quasi a nessuno, consapevoli che salvo rarissime eccezioni alla Francesco Totti i loro beniamini del momento sono solo dei mercenari che oggi ci sono e domani chissà.
Questo si è seminato. Questo si raccoglie. Se si accetta di fare i saltimbanchi alla corte degli Emiri, bisogna “saltimbancare” secondo gli usi locali. Altrimenti si dice di no a tempo debito. E non a meno di due settimane dallo spettacolo già concordato, contrattato, controfirmato. Venduto al miglior offerente, infischiandosene di tutto il resto.