L’invidia, si sa, è una brutta bestia. E quando si accompagna all’ignoranza riesce a dare il peggio di sé. Ne ha dato prova – e non è nemmeno la prima volta – il Ministro dei Trasporti Danilo Toninelli, scagliandosi contro il vicepremier Matteo Salvini dalle colonne del Corriere della Sera.
"Fa il polemizzatore quotidiano" ha attaccato il titolare del MIT. "Come diceva un filosofo, sembra un nano sulle spalle dei giganti che lavorano".
Umanamente, lo sfogo del senatore pentastellato può anche essere comprensibile, considerate le stroncature ricevute dal segretario leghista, che recentemente lo ha definito non all’altezza del ruolo che ricopre. Il problema vero, però, è proprio ciò che Toninelli dice, non come lo dice.
Tralasciamo il fatto che la sua citazione non è neppure letterale, visto che l’originale non accenna nemmeno a chi lavora: è un peccato veniale, e in confronto alle gaffe usuali del Nostro quasi non merita nemmeno una menzione. Si potrebbe anche passare sopra a quell’espressione, un filosofo, che malignamente fa pensare a una massima trovata per caso in Rete, che qualcuno ha consigliato al Ministro nella speranza di elevare il livello culturale del suo discorso – per la cronaca, il filosofo in questione è Bernardo di Chartres, maestro di retorica francese del XII secolo.
Forse si potrebbe perfino lasciar correre il fatto che la metafora, che evidentemente non gli hanno spiegato bene, ha in realtà un’accezione completamente diversa, se non opposta, rispetto a quella intesa da Toninelli. Per Bernardo di Chartres, infatti, i nani sono gli autori contemporanei, mentre i giganti sono gli autori antichi: il che, mutatis mutandis, renderebbe Salvini il vero moderno e i Cinque Stelle i preistorici, come i leghisti non mancano di sottolineare ogniqualvolta gli alleati-rivali bloccano lo sviluppo del Paese con i loro “No”.
Il vero concetto imperdonabile, però, è un altro. È l’idea, sottesa nel “ragionamento” del titolare del MIT, che le convinzioni ideologiche di un’infima minoranza debbano prevalere tanto sui vantaggi per lo Stato che sulla volontà della maggioranza. "Mi sembra che gli Italiani hanno votato in maniera chiara, che i Piemontesi hanno votato in maniera strachiara" ha infatti affermato il Ministro dell’Interno, rispondendo a una domanda sulla Tav.
A spargere poi il sale sulla ferita grillina ci ha pensato il Senato, che ha approvato tutte le mozioni favorevoli all’Alta Velocità e bocciato senza appello la follia del M5S, che pretendeva che il Governo votasse contro se stesso. E infatti dai social, che mai perdonano, è arrivato ai Cinque Stelle il perfido consiglio di prendere un Tav-or.
Che poi per il MoVimento sarebbe stato un giorno molto lungo si era già capito quando Alberto Airola, uno dei senatori che più si sono opposti alla Torino-Lione, durante la discussione generale ha iniziato a dare i numeri – letteralmente, nel senso che ha fatto confusione sui dati relativi ai costi e al chilometraggio della Tav: tanto che la sua collega Elisa Pirro, dopo aver provato a suggerirgli gli elementi corretti, si è portata la mano sulla fronte in segno di disperazione.
A fine seduta, Toninelli ha candidamente ammesso di aver votato no all’Alta Velocità, aggiungendo di andare avanti sereno. Nessuna sorpresa: dopotutto, in precedenza aveva già ribadito che per lui «l’opera è uno spreco e un danno dal punto di vista ambientale e un favore fatto alla Francia. Un accordo fatto da politici incapaci». Prendiamo atto soprattutto dell’ultimo giudizio, considerando che i Cinque Stelle sono la massima autorità in materia.
In ogni caso, ora la palla è nelle mani della Lega. Massimiliano Romeo, capogruppo del Carroccio a Palazzo Madama, aveva già provveduto ad avvertire i colleghi pentastellati: "La questione politica resta. Se fate parte del Governo dovete essere a favore della Tav. Se votate no ci saranno conseguenze».
La tensione nell’esecutivo gialloverde resta quindi altissima. Prima ancora del voto parlamentare, Salvini aveva fatto intendere di considerare Toninelli peggio di Renzi e della Boschi, evocando per di più la crisi di Governo e il voto anticipato «anche prima di settembre». Il tutto nel silenzio assordante del capo politico del M5S, Luigi Di Maio, che in Senato ha del tutto ignorato – ricambiato – il collega di vicepremierato Salvini.
Insomma, la resa dei conti, o per meglio dire la resa dei Conte, potrebbe essere estremamente vicina. Quasi certamente lo è per Toninelli, la cui intervista è sembrata a molti un canto del cigno. Del resto, diceva Oscar Wilde che "l’invidia è quel sentimento che nasce nell’istante in cui si assume la consapevolezza di essere dei falliti".
Perché, parliamoci chiaro, se il Capitano è un nano, il Ministro dei Trasporti è al massimo una pulce che zampetta sulle sue spalle. E il fatto che non se ne renda nemmeno conto è la precisa ragione per cui viene da dire che continua, imperterrito, a tener fede al nomignolo mediatico di “Tontinelli”.
La foto presa dal sito del Governo
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