Teatro Buonarroti, “I Menecmi” ovvero i due gemelli napoletani
‘I Menecmi’ offre un eccezionale documento storico di costume dell’epoca e nel ribaltamento dei ruoli e delle gerarchie
Dopo ‘Filumena Marturano’ all’ Anfitrione di Roma dello scorso dicembre, il 5 febbraio 2016 la Compagnia ‘ANTA & go!’ di Iolanda Zanfrisco ha messo in scena al teatro Buonarroti di Civitavecchia ’I Menecmi ovvero i due gemelli napoletani’, adattamento del testo di Plauto scritto dall’autore verso la fine del terzo secolo a.C. Unica data per una rappresentazione attesissima in un teatro saturo oltre la capienza dei suoi 400 posti e molti gli spettatori rimasti esclusi dall’annunciato sold out e privati di un vero e proprio godimento sensoriale. Da Eduardo a Plauto senza soggezione né incertezze, con tanta passione e professionalità nel nome del teatro d’autore, là dove osano le aquile, perché quando si frequentano i grandi con l’impegno e il talento di questi teatranti intrisi di autenticità verace, senza sotterfugi né clamori, il risultato è palpabile e non sorprende. Il sacrificio non genera sopportazione ma è viatico inebriante e il merito del successo è tutto loro. Elemento determinante dell’apprezzamento di pubblico e critica che questa compagnia riceve da anni è l’eterogeneità e l’adattabilità dei singoli alla rappresentazione della commedia di genere popolare in cui ognuno trasferisce senza orpelli il proprio vissuto reso ancor più espressivo da una confidenzialità intrigante per affiatamento di lungo corso. L’entusiasmo incondizionato di un approccio al teatro che si nutre di tradizione e include insospettate fasce di età (da cui la denominazione di ‘Anta &go!’) ha come collante il divertimento puro nell’esplorazione di se stessi. E’ un gioco che si alimenta di stupore, slancio, comunicazione, confronto e impegno condiviso, prolunga la giovinezza del cuore perché la senilità è condizione mentale che irretisce chi deprime la curiosità, senza distinzione di anagrafe. Il teatro per amatori di ‘Anta &go!’ è la quintessenza del teatro, rinsalda il naturale attaccamento alla vita, ogni inquietudine si stempera e viene opportunamente accantonata e rinviata senza rimpianti poiché del doman non v’è certezza. Un eterno gioco scandito dall’insegnamento dei grandi maestri (da Plauto appunto, a Goldoni, Pirandello, Feydeau, Dario Fo, alla dinastia dei De Filippo, per citarne alcuni) e portato in scena con rispetto e disciplina esemplari. Protagonisti di questa avventura sono attori per caso e per piacere. Artefice di un successo esaltante oltre ogni aspettativa è Iolanda Zanfrisco, figlia d’arte, attrice di sensibilità e spessore che agli albori del nuovo secolo ha creduto in un progetto velleitario al limite del visionario e per questo degno di considerazione e stima. Non sorprendono i ben 18 riconoscimenti ottenuti al Festival Internazionale FITA Viterbo 2014 cui si aggiungono i premi Mecenate FITA, Colosseo FITA e Rassegna al di là del Raccordo per il 2015.
‘I Menecmi’ offre un eccezionale documento storico di costume dell’epoca e nel ribaltamento dei ruoli e delle gerarchie smaschera abituali attitudini comportamentali che sfuggono a codifica . Rappresenta soprattutto una geniale intuizione dell’evento teatrale inteso dall’autore come gioco tra realtà e finzione, essere e non essere; rompe l’illusione scenica e utilizza espedienti fra cui il metateatro lasciati in eredità da Plauto al teatro moderno che se ne è servito a piene mani. Vengono narrate le peripezie di due fratelli gemelli, lo smarrimento e il rapimento di Menecmo I e il ritorno dei due in patria. Fame, sesso e miseria sono gli ingredienti di questo prototipo di commedia degli equivoci che si dipana fra intrighi e beffe. Teatro di burla e licenzioso, che deriva dalla primitiva atellana, I Menecmi’ è commedia di Plauto rivisitata in una commistione surreale e per questo da teatro senza confini, senza tempo, dove le contaminazioni attraversano il mito e lo umanizzano. L’adattamento in napoletano del testo di Plauto proposto da Iolanda Zanfrisco ha riservato allo spettatore un composito intreccio di situazioni esilaranti intrise di sospetti, malintesi, confusioni. Le diverse prospettive percepite dai protagonisti, così come i colpi di scena a ripetizione, hanno messo a dura prova la lucidità dei due gemelli Menecmi e dei rispettivi schiavi e conferito a questa farsa un ritmo frenetico e ad effetto godibilissimo. Un meccanismo di contrasti, scambi e raggiri intrigante e coinvolgente. Una commedia moderna per lo sconvolgimento dei modelli dell’epoca, la caratterizzazione dei personaggi e per i temi trattati. La storia è ambientata in una Napoli godereccia e lussuriosa e il vernacolo partenopeo sostituisce il sermo familiaris romano a sottolineare l’atmosfera colorata di esagerata spettacolarità che la trama rivendica.
Gli interpreti. Vincenzo Di Sarno è lo spassosissimo duplice Menecmo. Un mattatore infaticabile, un istrione che sfodera sorprendenti doti di trasformismo nell’esprimere simultaneamente due ruoli frontali controversi e contrastanti veicolandoli verso l’auspicato ricongiungimento virtuale. A fine impegno perderà la voce ma non la proverbiale ironia e la residuale energia. E’ Menecmo I, l’avvocato di Neapolis coniugato con Mirrina (Rosaria Valery Starace) ma dissoluto e dedito ad ogni piacere terreno. Il suo schiavo è Spazzola (Vincenzo Coppolino): tra il cibo comunque e le donne qualunque, sta con il primo ma non disdegna le altre rammaricandosi per l’esclusione patita dall’ assatanato padrone , sbigottito altresì per le ambigue esternazioni del suo protettore sempre più in confusione. Vis comica e simpatia contagiosa per Coppolino, spalla e caratterista di prim’ordine. Rosaria Valery Starace è la moglie tradita che riassapora il piacere smarrito per l’intervento di un clone offerto dagli dei. Una prova da attrice consumata. Menecmo II è il villico fratello smarrito a Paestum dal padre mercante dissennato; determinato a ritrovare le origini negate in compagnia del suo fido bistrattato Messenione (Jerry Caruana). Sbarcati da Capua come due ‘vucumprà’ clandestini, ritrovatisi in una megalopoli dalle abitudini truffaldine, già in illo tempore, ma dalla donne disponibili e meritevole di approfondimenti per il manifestarsi di fenomeni incomprensibili. E’ il fascino dell’occulto e del mistero, oltreché del proibito. Messenione è un marcantonio di tracio che confida nel proprio affrancamento; la sua inflessione più che a quella del musico Orfeo somiglia a quella di un montanaro transilvano. Mai arrendevole e consapevole della svolta. Adeguato Jerry, sempre ‘disinvolto’ nell’essere disorientato (mi si passi l’ossimoro). Mauro De Socio è Cilindro, lo straripante cuoco di tendenza incaricato di far spesa al mercato ma non trova mai il committente originario e si dispera come una massaia sull’orlo di una crisi di nervi. Già avvocato Nocella in ‘Filumena Maturano’. Una macchietta coi baffi.
Carmela Pennino è Santippe, la scaltra vecchia madre dei Menecmi; deve consolare la nuora tradita ma buon sangue non mente e fa il tifo per il Menecmo di casa perché i figli sono ‘piezz ‘e core’ non solo nel melodramma. Notevole presenza scenica. Anna Mele è Bromia, l’ancella dalle idee chiare e fuori di metafora. Profumo di napoletanità sopraffina. Rossella Bove è Delphina, l’ancella maliziosa e accattivante. Adeguata e frizzante. Gennaro Donti è il medico inquisitore incaricato di diagnosticare i disturbi di Menecmo visionario a rischio di internamento. Maschera antesignana della commedia dell’arte e dei tanti dottor Balanzone. Breve ma efficace intermezzo il suo. Infine la regina, la cortigiana Erozia, ambita da tutto il genere maschile strisciante e disposto ad ogni concessione in cambio dei servigi promessi. E’ la dominatrice incontrastata di ogni situazione, incurante di giudizi sconvenienti mossi da invidie represse, musa ispiratrice degli istinti peccaminosi, consapevole di un fascino che pietrifica e atterrisce. Iolanda Zanfrisco è artista straordinaria. Superba e intrigante, interpreta il personaggio con garbo e misura, evidente ironia e dovizia di fascino misto a naturale eleganza.
Sebastiano Biancheri