“Televisione”, l’ultima fatica di Carlo Freccero
“Alternare discorsi alti e bassi con libertà: questo è il bello della vita”
"Televisione" è il nuovo libro di Carlo Freccero, disponibile anche in versione tascabile e con un costo sociale di 9 euro. L’autore televisivo lo ha presentato in un’intervista a Radio Radio.
Di cosa parla il libro?
Questo libro parla della televisione, ma è anche un po’ la mia autobiografia. Io infatti ho avuto la fortuna di avere una carriera abbastanza lunga, ho attraversato tante fasi della tv commerciale, sia italiana, ma anche francese ed europea. Ho lavorato per la televisione pubblica, e ora per quella satellitare prima su Rai Sat e ora su Rai 4. Non esiste più ‘la’ televisione, ma tante televisioni, e ogni tv ha la sua logica, la sua storia, il suo funzionamento. Attraverso a tutte queste fasi ho avuto modo di analizzare tutti i tipi di televisione. La tv cambia sempre, si evolve, oggi si integra con altri mezzi, anche con internet, è una rivoluzione continua quella della televisione. E anche il pubblico cambia continuamente. L’evoluzione della televisione, se accompagnata da uno studio critico, può aiutare a capire la società, il rapporto tra società e televisione è infatti strettissimo. Chi è bravo a fare televisione è anche sociologo e politico, riesce a capire prima degli altri cosa sta per succedere. Per esempio, guardiamo alle ultime elezioni: ogni personaggio protagonista della campagna elettorale rappresentava un medium, e così Berlusconi ha rappresentato la tv commerciale e Grillo il web. Ognuno di loro ha rappresentato un modo di vedere e vivere i media.
Alcuni considerano il digitale terrestre una iattura, soprattutto quelle televisioni private che prima avevano, come dire, un nome e un cognome e ora stanno perdendo la loro identità. È vero?
Io credo che sia molto importante che le televisioni locali sia caratterizzino come tv legate al territorio. Il digitale ha moltiplicato l’offerta, è vero. Esistono da una parte televisioni che lavorano su consumi di culto, per esempio le tv dedicate a serie, film, varietà o intrattenimento; poi ci sono le tv legate all’informazione, e in queste televisioni il territorio, la prossimità, sono elementi molti importanti. Moltiplicando l’offerta, il digitale terrestre ha creato un po’ di confusione: prima c’erano tv generaliste e private, oggi invece è un tutt’uno, e quindi le televisioni locali si sono mescolate alla molteplicità delle altre tv. Ma credo che conservare la propria identità territoriale possa produrre ancora oggi, nonostante tutto, i suoi effetti positivi. La riprova di quello che dico è Grillo. Lui lavorava sul web per i giovani che sanno usare i media e sanno interagire, in piazza invece parlava al pubblico legato alla tv locale. Grillo è la dimostrazione di come si possono unire efficacemente due modelli: tv del web e tv della piazza, che rappresenta l’entità territoriale.
L’auditel è un dato importante. È con esso che decidete le programmazioni?
Sì e no. Mi spiego: non c’è solo la missione editoriale, ma anche quella d’ascolto. Noi però siamo più liberi rispetto alle televisioni generaliste. Il nostro obiettivo è quello di raggiungere un target che va dai 25 ai 50 anni, e lavorando su target limitati abbiamo più libertà e possibilità di sperimentare. Non ci limitiamo ad offrire solo film di sicura audience, ma anche prodotti più specifici. Proponiamo generi televisivi che altre televisioni non praticano, come il fantastico, la fantascienza, andiamo in cerca del telefilm particolare che risponda ai gusti di oggi, ma non ai gusti generalisti. È vero, comunque, che l’audience è intimamente legata alla tv, è quasi un imperativo categorico. Ma col digitale si può lavorare su audience particolari, siamo liberi dai generalismi che a volte costringono a praticare una televisione senza identità.
Carlo, sei anche appassionato di calcio. Secondo te, è vero che Roma è un unicum rispetto al resto d’Italia, visto che a Roma si riesce a fare una radio o una tv tutte sul calcio?
La lotta tra Roma e Lazio è tutta particolare. I tifosi romanisti e laziali pensano al derby, no alla Champions League. Sembra la storica lotta tra Oriazi e Curiazi. Il calcio esiste solo in funzione della Roma e della Lazio. È una cosa straordinaria, questa. Anche Totti, ad esempio, rappresenta il calcio di una volta, quello romantico. Lui è legato al mondo di Rivera, di Mazzola. Ci sono giocatori che sono il logo e la bandiera della loro squadra. Balotelli, invece, è una rock star, che non ha bandiere, si appoggia a più etichette discografiche. Totti è il calcio di una volta, Balotelli è il calcio del 2000.
E degli scontri avvenuti in occasione del derby, che ne pensi? Alcuni dicono che chi crea disordine viene pagato per farlo. Credi sia vero?
No, credo di no. Su 80mila persone, 30 cretini rappresentano una percentuale sopportabile. Purtroppo, però, 30 cretini hanno un riverbero disastroso, perché agiscono in mezzo alla folla, e nella folla il pericolo si avverte di più. Però la soluzione esiste. Pensiamo all’Inghilterra, dove sono state portate avanti politiche di due tipi: una è stata quella di rendere lo stadio un luogo comodissimo ed elegante; la seconda è stata quella di lasciare i cretini fuori dallo stadio.
‘Servizio Pubblico’, Santoro-Berlusconi: scontro fra titani. Chi ha vinto?
Innanzitutto ha vinto il programma. Pensate che ha raggiunto il 32% di share, evento straordinario per La7. Berlusconi ha empatia e sinergia con la televisione. Ha fatto politica attraverso la tv, nel bene e nel male. È riuscito a trasformare l’audience in un partito politico. Forza Italia è la derivazione di Pubblitalia: per inserire i sondaggi aveva bisogno della televisione. Anche per questi motivi ha accettato di andare a casa di Santoro, che però, criticandolo, non doveva evitare lo scontro, o sarebbe stato possibile che Berlusconi vedendo il clima di totale ostilità avrebbe potuto decidere di andarsene, rovinando anche il programma. Invece è stato creato un clima di commedia, un po’ alla Totà e Peppino De Filippo. Ma quella puntata resta comunque uno dei momenti storici della campagna elettorale scorsa che la televisione abbia vissuto. E Berlusconi ha capito che in televisione non contano tanto i discorsi, i concetti, i ragionamenti, ma contano i gesti, perché la tv è spettacolo. E allora eccolo svelare le sue mosse migliori per occultare in qualche modo risposte scomode e per scatenare reazioni di simpatia nel pubblico. E in tv la simpatia vince sulla ragione e sul ragionamento.
La rete però si è scagliata contro Santoro per aver invitato Berlusconi. Perché?
La rete ha un atteggiamento diverso rispetto a quello del pubblico della tv generalista. La rete è identitaria, il pubblico della televisione generalista no. Quindi è logico che per loro Santoro non avrebbe dovuto invitare Berlusconi. Nel nostro sistema mediatico coesistono tutti i media, una volta c’era solo la televisione, oggi no, e si parla di passato, presente e futuro nello stesso momento. Anche la radio è ormai coesa col web e con il net. Una volta il conduttore radiofonico andava avanti per conto suo, oggi anche voi della radio dimenticate la vostra scaletta e anzi siete trasportati qualche volta dall’onda dei tweet, delle interazioni della rete. Oggi il sistema mediatico è molto complesso. La televisione però, rispetto agli altri media, è più autoreferenziale. Cerca di inglobare il net, ma ha una sceneggiatura più forte.